Il sonno della ragione genera torturatori di animali.

Ciclicamente, nell’internet, la fantasia di qualche annoiato giornalista-blogger-spammer genera mostri a tipo Freddy Krueger. Mostri che, noncuranti della legge ed appoggiati da compiacenti concittadini, si dedicano a scuoiare animali, avendo cura di infliggere loro le più atroci sofferenze (se no non c’è gusto),  allevano gatti all’interno di bottiglie di vetro, o vendono cervelli di feti umani in scatoletta, perché si sa, in oriente sono
considerati afrodisiaci.

Siccome me l’ha detto un mio amico, che cazzate non ne dice, io ci credo, sempre.

Questi ameni personaggi, ciclicamente, ritornano. E delle volte il sonno della ragione ne genera di nuovi. 

Ho da poco letto questa avvincente storia:  una ragazza olandese scuoia gli animali per farne borsette e manicotti per l’inverno, come insegnava il buon conte Uguccione. Condividendo appieno questa pratica, ho deciso di farle pubblicità. (eccola)

http://lalternativaitalia.blogspot.com/2011/12/intervista-alla-ragazza-olandese-che.html

MA

 Per completezza, visto che l’argomento mi sta a cuore ho deciso di autocitarmi e, in una ormai rodata pratica di autoerotismo, incollo di seguito una breve ricerca di cui mi sono occupato qualche tempo fa:

All’inizio del 2008 girava via email, tra le cosiddette “catene di sant’antonio”, la notizia della presunta tortura e morte di un cane ad una mostra d’arte ad opera di un artista d’avanguardia costaricano: Guillermo Vargas Jimènez, anche noto come Habacuc.

L’email conteneva -a supporto della sua tesi- alcune foto di un cane malnutrito e legato con una corda ad un muro di una galleria d’arte.

La notizia suscitò scalpore e non mancarono le reazioni da parte di diverse associazioni ed addirittura in alcuni  TG venne paventata l’ipotesi di vietare le mostre di Vargas all’interno dell’Unione Europea. Le manifestazioni di dissenso su siti e social network non tardarono ad arrivare così come accade con qualsiasi tipo di notizia. Nello specifico, digitando il nome dell’artista su facebook, compaiono circa 400 risultati relativi a gruppi di discussione dedicati alla vicenda.

Il gruppo italiano contro Guillermo Vargas Habacuc, il più numeroso, conta ad oggi 208.069 adepti, seguito a ruota da un gruppo in lingua spagnola, avente 153.282 iscritti, un altro, sempre in lingua spagnola avente 86.124 iscritti ed uno in inglese, il quale ne conta “solo” 44.676.

Queste le parole che denunciavano il fatto, ovvero il trattamento crudele riservato dall’artista al cane, riprese dal maggiore gruppo di facebook e che ricalcano abbastanza fedelmente il contenuto della più datata catena di sant’antonio:

“Nell anno 2007, Guillermo Vargas  Habacuc, un finto artista, prese un cane di strada, lo legò ad una corda corta ad un muro di una galleria d’arte e lo lasciò morire lentamente di fame e di sete:
Durante parecchi giorni, l’autore di questa orribile crudeltà e i visitatori di questa galleria d’arte erano spettatori impassibili dell’ agonia del povero animale, fino a quando finalmente morì di fame e di sete, sicuramente dopo essere passato per un doloroso, assurdo ed incomprensibile calvario.

Ti sembra forte ???

Quello non è tutto: la prestigiosa Biennale Centroamericana di Arte decise, incomprensibilmente, che la bestialità che aveva appena commesso questo individuo era arte, ed in questo modo tanto incomprensibile Guillermo Vargas Habacuc è stato invitato a ripetere la sua crudele azione in fortuna Biennale in 2008.
Oltre 150.000 persone da tutto il mondo, in pochissimi giorni, hanno espresso la propria indignazione verso quella che, secondo loro, non può essere certo considerata un’opera d’arte. A quanto pare Vargas avrebbe pagato dei bambini affinché catturassero un cane per poi utilizzarlo come ‘opera d’arte’ che consisteva appunto nel guardare l’agonia e la sofferenza fino alla morte. Ai visitatori sarebbe stato vietato di portare cibo e acqua e chiunque cercava di avvicinarsi per accudire l’animale veniva allontanato in malo modo con insulti. Sopra il cane morente, una scritta fatta di croccantini con la frase: ‘Eres lo que lees’ (‘Sei quello che leggi’).

Come è possibile che la galleria non abbia imposto a Vargas di liberare il cane? E ancora: è possibile che nessuno sia andato lì con prepotenza – anche violenza – per portarsi via l’animale?
Secondo alcune testimonianze chiunque avesse provato ad avvicinarsi a Nativity per aiutarlo o per dargli qualcosa da mangiare, veniva mandato via ed allontanato con veemenza dallo stesso “artista”.

Quindi ora, anzi immediatamente, dovete unirvi al gruppo e non considerarlo mai più un artista nel vero-senso-della-parola!”

 

In seguito, alla sopracitata descrizione è stata aggiunta una precisazione:

Voglio far valutare bene la cosa leggendo questo:
http://attivissimo.blogspot.com/2007/11/antibufala-cane-lasciato-morire-per.html

 

Più precisamente si tratta di un rimando al blog di un capace giornalista italiano, Paolo Attivissimo, il quale da anni fornisce gratuitamente un servizio detto “antibufala” atto ad analizzare ed eventualmente smascherare la falsità di notizie dubbie che girano per la rete.

La presenza del link al blog, nel quale viene discussa approfonditamente l’eventuale fondatezza dell’accaduto, sembra essere stata ignorata dai membri del gruppo di facebook, che continua a manifestare il proprio odio per l’artista costaricano nonostante diverse testimonianze abbiano mostrato che la notizia avesse più di un’incongruenza per non sembrare una montatura e che vi fosse ben poco di fondato: inoltre, cercando su internet non si trova la fonte originaria.

La rabbia, l’indignazione e la frustrazione che determinate tipologie di accadimenti generano, evidentemente hanno la meglio sulla fredda razionalità. Forse l’orrido e il sensazionale ci attira tanto da farci credere a qualsiasi cosa, il che è già di suo, drammatico.

I fatti certi ed incontrovertibili, analizzati dal sopracitato cacciatore di bufale Paolo Attivissimo sono i seguenti:

C’è stata effettivamente una mostra in cui Habacuc Vargas ha “esposto” un cane randagio, come si può vedere nelle foto che sono circolate. L’obiettivo di Vargas, come dichiarato anche dall’artista in persona, era quello di dimostrare l’ipocrisia delle persone: la gente avrebbe avuto pietà e buoni sentimenti nei confronti del cane alla mostra, ma avrebbe dimostrato disprezzo, indifferenza o paura se lo avesse incontrato per strada.

Non c’è traccia riguardo chi, come e quando sia stata pubblicata per la prima volta la notizia che sosteneva che il cane fosse stato lasciato morire di fame durante la mostra. L’unica fonte, il giornale costaricano La Prensa, dice l’esatto contrario. Secondo il direttore del museo, il cane, (un randagio preso per strada) per quanto malconcio, sarebbe stato curato e rifocillato. Poi sarebbe stato messo al guinzaglio per la mostra, come si vede nelle foto, e successivamente sarebbe scappato.

Quello che appare strano nell’osservare le immagini è il completo distacco delle persone intente a mangiare e bere un aperitivo con il cane a poca distanza. Improbabile che nessuno reagisse alla vista di un cane in procinto di morire di fame. Lo stesso cane, se avesse avuto fame, avrebbe quantomeno abbaiato cercando di attirare l’attenzione. Vedendo persone mangiare, e sempre ritenendo valida l’ipotesi della morte imminente avrebbe quantomeno cercato di liberarsi del piccolo guinzaglio di corda al quale era stato legato, e non sarebbe stato accucciato in tutta tranquillità. Infine, anche dando per vero che l’artista fosse “insensibile”, sembra fortemente improbabile che tra tutti i visitatori non ci sia stata una sola persona che abbia protestato o contattato le forze dell’ordine a causa di un cane che stava per morire di fame.

Inoltre, nel sito della galleria dove sarebbe avvenuto il fatto, troviamo un link1 contenente la spiegazione dell’accaduto: “il cane veniva tenuto legato solo durante l’apertura al pubblico della mostra (tre ore al giorno), il resto del tempo se ne stava nel cortile della galleria e veniva nutrito dall’artista stesso. il cane non è morto, ma è scappato.”

L’unico dato certo è che Vargas, un perfetto sconosciuto fino alla mostra del 2007, si sia fatto una pubblicità a livello planetario come difficilmente capita. Fino a prova contraria, il resto sono solo ipotesi e congetture.

L’ottusità del web all’italiana è dimostrata in primis dal fatto che il gruppo facebook nostrano sia il più numeroso, ma anche dal fatto che nella petizione che girava via mail il nome della galleria era sbagliato:

“Galeríam Códice” invece di “Galería Códice”.  Dato presumibilmente da un meccanico copia-incolla senza verificare l’attendibilità della notizia.

La ricerca di “Galeríam Códice” su google[2] produce 1.040 risultati in italiano, 8 in lingua inglese, 2 in spagnolo. Le conclusioni in merito vengono da sole.

Con questo esempio, uno tra i tanti di cui si può trovare traccia sul web ed all’interno dei social networks, si vuole dare rilievo ad una problematica connessa alla possibilità che ognuno di noi ha nel fare informazione e disinformazione in rete. La costruzione di notizie false su basi più o meno reali non è una novità né tantomeno è un’esclusiva del web, ma il fatto che chiunque, nel completo anonimato possa diffondere con tale profitto notizie false è un dato che merita un’attenta riflessione.

[1] http://www.galeriacodice.com/index.php?id=30

[2] Informazioni ottenute utilizzando www.google.com ed il filtro avanzato per lingua, in data 13 dicembre 2009

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