L’insulto al semaforo: una battaglia di civiltà

L’insulto tra automobilisti è un’arte finissima, un’arte affinatasi nei decenni che, per risultare efficace richiede grande velocità di pensiero, brevità e targettizzazione del messaggio: l’unico scopo di un insulto, viene da sé, è fare male, e per fare male nel poco tempo a disposizione al volante è necessaria grande prontezza di riflessi e lucida analisi dell’avversario.

La sfida racchiusa nell’arte dell’insulto automobilistico è infatti quella di arrivare nel più breve tempo alla scelta di una corda che urti la sensibilità. Con un pelato sarà facile andare a segno con il più classico degli “o conch’e minca”.  A un ciccione si urlerà “o palladimmerda!”.

La letteratura in fatto di anziani è vasta, tutta la gamma di riferimenti alla demenza senile sarà ben accetta. Con l’extracomunitario, cinese, nero, rom, giapponese, arabo, tedesco, sarà sufficiente apporre il più classico dei “di merda” alla nazionalità dell’automobilista che non mancheremo di guardare con disprezzo dall’alto della nostra fiera italianità.

Più difficile sarà invece colpire l’uomo di etnia, peso e sembianze simili alle nostre, col quale comunque non sbaglieremo urlando “o calloni e impara a guidare!” Non sia mai che un maschio alfa non sappia condurre con maestria il suo rombante destriero.

Con la donna invece la questione è ben più spinosa, visto e considerato che è universalmente accettato che non sappia guidare; cosa fai allora? Panico. La analizzi: carina, ben vestita… Rossetto color carne.. Bingo! Ci siamo! Le urli “o brutta bagassa”.

Eh no.

Bagassa no.

Non puoi.

È sessismo.


 

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