Un risveglio

Eravamo in guerra, ma ancora non lo capivamo. Le nostre vite continuavano come sempre, accompagnate però da una costante ansia sfocata, senza forma. Un’ansia che cercavamo di ignorare, ma che col passare dei giorni aveva cominciato ad attutire tutti i sentimenti: la gioia, la tristezza, a poco a poco erano diventate parte di un grosso polpettone di apatia che stava lì, fermo sullo stomaco. La cittadina come ogni mattina ospitava il mercatino nella grande piazza davanti alle poste, ma l’esercito già presidiava le strade e ci aveva avvisato: nel pomeriggio era previsto l’arrivo delle truppe dei ribelli.

Per strada, tra la folla, incrociavo i sorrisi degli amici di sempre. Nessuno di noi aveva mai combattuto, ma ci avevano dato dei fucili. L’esercito aveva armato anche i civili come noi, così giravamo per la città, con lo sguardo un po’ spaesato; facevamo le prove. Ci appostavamo dietro i muretti e scherzavamo scimmiottando i militari.

Sembrava che non dovesse succedere.
Poi all’improvviso un boato.
Due razzi ci passano oltre, sulla testa. Tre esplosioni davanti a noi. Il fumo che riempie gli occhi, le urla. Un’altra esplosione, più vicina. L’onda d’urto mi sbalza dietro una siepe. Resto lì mentre la nube si dirada, ed ecco i ribelli che avanzano. Persone come noi, senza divisa. Sparano tutti. Chi sono i nemici? A chi devo sparare? Prendo la mira. Non so cosa fare. A pochi metri da me un ragazzo che non conosco si nasconde dietro un muretto. Ha gli occhi impauriti, come me. Ci guardiamo, ci scambiamo un segno d’intesa. “Coraggio!” gli dico. Ma quella non è la sua lingua. Mi punta la pistola contro.
Spara.

E mi sveglio.

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