accalloNation

Sono uno che si dimentica tutto. uno che si è dimenticato cosa significa andare dal parrucchiere. Sono uno che ride da solo. Sono uno che non piange da solo. Sono uno che odia le cose preconfezionate. Sono uno a cui piace smontare le cose. Sono uno a cui piace anche rimontarle, le cose. Sono uno a cui non piacciono i dolci, ma la panna montata sì. Sono un montato, come la panna, ma ho superato i 33 anni, quindi sono rancido. Sono uno che non si entusiasma mai, oppure che si entusiasma troppo. Sono uno a cui piace conoscere la gente rotta. Sono uno che si rompe in fretta della gente che non ha dubbi. Sono uno a cui piace il silenzio senza gli imbarazzi del silenzio. Sono uno a cui piace ascoltare il fondo del mare. Sono uno a cui piace guardare il fondo del bicchiere. Sono uno a cui piace toccare il fondo. Risalire, anche risalire mi piace, ma per arrivare alla cima ci sono molte strade, e io sono ancora fermo all’incrocio.

Una cosa minuscola

Vorrei parlare un po’ con te.
Non tanto eh.
Tipo una settimana.
Credo che una settimana basterebbe.
Solo per capire una cosa,
sì, una cosa sola.
Una cosa minuscola.
Sono lento, per certe cose mi serve un po’ di tempo.
È che questa cosa
non che sia complicata,
ma richiede una certa precisione.
Vorrei capire se mi piaci perché non ci sei e quando non ci sei posso immaginarti come voglio io,
o se mi piaci perché, quando ci sei, sei molto più bella di quanto io non riesca a immaginare.

A una lettura superficiale il concetto di fondo sembrerebbe più o meno lo stesso.
Ma nel primo caso direi che la questione non è grave, quasi derubricabile a un banale giochetto per menti annoiate.
Nell’altro caso, invece, sono fottuto.

Un risveglio

Eravamo in guerra, ma ancora non lo capivamo. Le nostre vite continuavano come sempre, accompagnate però da una costante ansia sfocata, senza forma. Un’ansia che cercavamo di ignorare, ma che col passare dei giorni aveva cominciato ad attutire tutti i sentimenti: la gioia, la tristezza, a poco a poco erano diventate parte di un grosso polpettone di apatia che stava lì, fermo sullo stomaco. La cittadina come ogni mattina ospitava il mercatino nella grande piazza davanti alle poste, ma l’esercito già presidiava le strade e ci aveva avvisato: nel pomeriggio era previsto l’arrivo delle truppe dei ribelli.

Per strada, tra la folla, incrociavo i sorrisi degli amici di sempre. Nessuno di noi aveva mai combattuto, ma ci avevano dato dei fucili. L’esercito aveva armato anche i civili come noi, così giravamo per la città, con lo sguardo un po’ spaesato; facevamo le prove. Ci appostavamo dietro i muretti e scherzavamo scimmiottando i militari.

Sembrava che non dovesse succedere.
Poi all’improvviso un boato.
Due razzi ci passano oltre, sulla testa. Tre esplosioni davanti a noi. Il fumo che riempie gli occhi, le urla. Un’altra esplosione, più vicina. L’onda d’urto mi sbalza dietro una siepe. Resto lì mentre la nube si dirada, ed ecco i ribelli che avanzano. Persone come noi, senza divisa. Sparano tutti. Chi sono i nemici? A chi devo sparare? Prendo la mira. Non so cosa fare. A pochi metri da me un ragazzo che non conosco si nasconde dietro un muretto. Ha gli occhi impauriti, come me. Ci guardiamo, ci scambiamo un segno d’intesa. “Coraggio!” gli dico. Ma quella non è la sua lingua. Mi punta la pistola contro.
Spara.

E mi sveglio.

Alla deriva

Ci sono luoghi taciuti, sommersi, che tornano a galla urlando. Dopo anni, a volte dopo anni; come un pallone da calcio che hai cercato di affogare, tenendolo sotto con le braccia. Anche se non respira, anche se è pieno d’aria.

Ci sono isole che hai guardato da lontano. Isole disabitate, sicuramente disabitate continui a ripeterti, dove non vale la pena sbarcare; isole abitate da popoli sconosciuti che non parlano la tua lingua. Forse nemmeno sanno parlare. Ma non affogano palloni, loro, e sorridono meglio del tuo riflesso allo specchio.

Ci sono luoghi che scricchiolano, come il fasciame di una grossa barca di legno, senza dare troppo fastidio, ma senza farti dimenticare mai dove ti trovi.

Alla deriva.

Rumore di fondo

Ciao internet! (cit.)

Oggi volevo parlarvi di rumore di fondo sui social. Questa mattina ho dato uno sguardo alla nuova sezione “Explore feed” di facebook, zona che il nostro amico Mark ha creato appositamente per farci conoscere nuove cose in arrivo da nuove pagine che ancora non seguiamo: di fatto un ricettacolo dei post più virali del momento, cioè merda o intrattenimento puro di cui, a mio avviso, non c’era proprio alcun bisogno.

Una merda che oscura le discussioni intelligenti generando unicamente “echo chambers”, “flame” e viralità gratuita.

(dare uno sguardo a questo disegnino se non capite di cosa sto parlando)

Bene, sono riuscito a divagare dopo due righe.

Dicevamo: nell’explorare il feed dellammerda, mi sono imbattuto in questo screenshot, condiviso da una pagina il cui nome suggerisce grande cultura, ma che incarna perfettamente uno dei meccanismi più in voga del momento: il commento-fake-censurato-che-diventa-vero.

Non avete capito come funziona? Facilissimo:

  1. un utente fake piazza un commento paradossale su una pagina, in pochi se ne accorgono e commentano in massa.
  2. L’admin di una pagina screenshotta il post scritto dall’utente fake, censura il nome e lo ripubblica, strafottendosene del fatto che sia vero o meno.
  3. Il post censurato viene condiviso e commentato in massa da persone che non potendo risalire all’autore, lo prendono per vero.
  4. Si discute per ore sul niente assoluto.

Il post originale, non censurato è questo qua (se non lo rimuovono lo trovate QUI)

Duecentrotrentotto like, 34 commenti e 30 share in un’ora sulla pagina che ha condiviso lo screenshot, 78 like, 356 commenti nel post originale sono un eccellente bottino per un post palesemente fake, creato ad hoc per scimmiottare i boccaloni di internet.

(La fotoprofilo di “Mario Nanni” inoltre è un volto noto di una pubblicità di parrucchini.)

Perché racconto questo? Per ragionare attorno a un tema interessante, cioè quello del valore dei like e delle condivisioni nel posizionamento dei contenuti: attraverso lo stratagemma del riquadretto colorato che censura il nome (non mi direte mica che credete ancora a tutti gli screenshot censurati che trovate a tema pancine, vegani impazziti, terrapiattisti etc) oggi diventano “virali” tantissimi post creati ad arte: post che ci rubano spazio e tempo e che se da un lato lasciano credere di essere circondati da mandrie di veri deficienti più di quanto non sia in realtà, dall’altro offrono ai veri deficienti la possibilità di commentare da un piedistallo di pastafrolla, lasciando loro la convinzione di essere migliori di deficienti finti creati appositamente per adescare le mandrie, che condividendo e commentando in massa intaseranno l'”Explore feed” con contenuti di infimo livello.

Bene. È questo il social che vogliamo? Quali conseguenze arriveranno con tutto questo rumore di fondo? Esiste un altro modo per far emergere i contenuti di qualità? Non vi sentite idioti a sentirvi migliori di un fake? Davvero vi piace così tanto ridere degli altri? Non siete stufi? Io un pochino sì.

 

Fissazioni non filtrate.

Odiare le fissazioni degli altri è facilissimo.
Come bere un bicchiere d’acqua.
No, più facile.
Un bicchiere di birra.
Con le tue però è più difficile.
Le mie, io, non le vedo.
Anzi le vedo, ma le vedo male.
Come quando hai bevuto 3 bicchieri di birra.
Da un litro.
-Boccali si chiamano.
Sì, va bene, ma non essere puntiglioso.
-Hai ragione. Ma il concetto è che io voglio vedermi con gli occhi degli altri.
E chiediglielo.
-Cosa?
(Poba!) Cos’hai di odioso.
-A chi?
Agli altri!
-Ma gli altri non mi piacciono.
E allora cosa te ne frega di sapere come ti vedono?
-Ma perché non la smetti?
Di fare?
-Di farmi domande.
Una birra la vuoi?
-Ecco, questa mi piace.
Chi?
-la domanda.
Ah. Pensavo la pivella che abbiamo davanti.
-Ebbà. Puzzidda. Ma l’hai vista? Cc’ha proporzioni tutte strane tra l’attaccatura dei capelli e le sopracciglia… poi quando ride le vengono le narici triangolari.
Ma se è un pisciotto?
-Zero. Poi è vegana. Sicuro vegana. Guà com’è vestita. Hipster e vegana. Un castoro attaccato ai coglioni. Te la immagini a cena?
Dopo cena me la immagino.
-D’estate non fa a parlare con te. Stai fisso pensando a coricare.
Birra?
– Eia, che è finita. Ordina l’icchinusa nuova, quella con la bottiglia a forma di bombola del gas che così poi mettiamo la foto su facebook con l’hashtag #icchinusa #sumellusu e i puristi s’incazzano.

/ em·pa·tì·a / …selettiva.

empathy

Essere empatici è una cosa bellissima, ma, diciamocelo, è anche una sfiga rara. In pochi però riescono ad essere veramente empatici. Fortunatamente (per loro) e sfortunatamente (per tutti gli altri) tanti di quelli che si dichiarano fortemente empatici, confondono questa caratteristica con la sua cugina sfigata: l’ “Empatia selettiva”.

Empatia selettiva è quando riesci a immedesimarti nello stato d’animo degli altri solo quando è uguale al tuo stato d’animo.

E un bel grazie al cazzo ce lo vogliamo mettere?

C’è forse da vantarsi di una roba così? Ecco. No.

#NO.

Siamo zingari di merda?

zingari

“I pellerossa sono stati invasi e hanno combattuto con fierezza, per questo non potevano che perdere contro un nemico e una civiltà tanto più potenti di loro. Gli zingari sono gli invasori che non combattono. Per questo non perderanno. Non perderanno più di quanto non perderemo alla fine tutti quanti.”

*****

Siamo zingari di merda? Per dio, no. Noi siamo persone per bene. Perché noi siamo nel giusto, siamo quelli che possono condannare, e guai a cambiare punto di vista, guai a farsi delle domande che rischiano di minare la solidità della nostra opinione.  Siamo quelli che bastano due minuti per scegliere da quale parte stare. La parte più comoda, è chiaro. Senza guardare, che guardare è faticoso. Senza scostarci dall’opinione delle persone con cui andiamo a bere lo spritz il venerdì sera, mentre annoiati chiacchieriamo dell’ultimo spettacolo teatrale a cui siamo stati: “Che sensibilità, che raffinatezza.” –  “Ma l’hai visto il video di quei pezzi di merda della LIDL?” – Non sono uomini, sono mostri. Mi fanno vergognare di essere un uomo. “Chiuderei loro in una gabbia. Altroché. Spero che li licenzino e che vengano condannati per sequestro di persona.”

Da “Zingari di merda” – Antonio Moresco (2008)

Gli zingari sono la parte più miserabile e più irriducibile di questo fiume. La loro economia subalterna e parassitaria si modella su ogni più piccola piega dell’economia dominante, legale e illegale, riciclo e rivendita di materiali scartati, piccoli lavori regolari, accattonaggio, furti, prostituzione, spaccio… Eppure, nonostante questo, gli zingari non hanno costruito una forte struttura criminale gestita da loro stessi, come hanno fatto altre popolazioni migranti, i siciliani con la mafia, gli albanesi, i cinesi… pur avendo come pochi altri mobilità, duttilità e imprendibilità. Perché non hanno dietro di sé stati, strutture politiche ed economiche su cui incernierare le loro organizzazioni, per il loro individualismo e il loro fatalismo. Nella grande maggioranza sono poveri ed emarginati dal resto della popolazione qui quasi come in Italia, però almeno in Italia si trovano ad avere attorno a sé una società e un’economia più ricche, da cui poter ricavare qualcosa di più. In una giornata di accattonaggio in Italia, ad esempio, una donna zingara porta a casa in media circa trenta euro, il triplo dello stipendio medio di un operaio qui a Slatina. Intanto i mariti e i figli si aggiustano con lavori sottopagati nell’edilizia, nei magazzini, nelle stalle, nelle campagne, in qualche caso con piccoli furti, spaccio, prostituzione, in casi rari con qualcosa di ancora più abietto. Ne parliamo io e Giovanni, di sera. Perché persino tra i rifugiati della Snia, in mezzo agli zingari che lottavano al buio, con le unghie e coi denti, per strappare una ragazza alla prostituzione, contro altri corpi venuti a rapirla, c’era anche qualcun altro, ragazza e ragazzo, che si prostituiva. Persino genitori che vendevano il corpo del proprio bambino di sette, otto anni ai pedofili, come carne da macello gettata in pasto ai cannibali adulti del paese più ricco, che così non hanno neanche più bisogno di prendere gli aerei e di andare a profanare e a mangiare i bambini e le bambine nel Sud-est asiatico. “Mi viene in mente una cosa che mi ha lasciato una strana impressione” dico a Giovanni “Quando sono venuto la seconda volta alla Snia, se ti ricordi, dopo la prima demolizione, c’è stato uno zingaro, scuro di pelle come un indiano, che quando ci ha visto passare per il vialetto pieno di baracchine, topi morti schiacciati, poltrone sbudellate recuperate dalle discariche e mucchi di immondizie, ha insistito perché entrassimo anche nel rudere semidemolito dove viveva con la sua famiglia. Noi gli abbiamo detto che lo avremmo fatto dopo essere passati da un altro paio di baracchine. Quando poi siamo passati anche da lui, e siamo entrati dentro il suo misero rudere liberato con cura dalle macerie e dai calcinacci, abbiamo visto che, al centro della scena, c’era un bambino nudo dentro una tinozza di metallo piena d’acqua portata lì con le taniche dalla fontanella del cimitero. Qualcosa in quella scena mi aveva colpito. Il bambino sembrava non poterne più di stare nudo lì dentro, protestava, si lamentava. Il padre gli ordinava di stare nella tinozza, mentre noi lì vicino parlavamo seduti su delle poltroncine e delle seggiole scalcagnate e bevevamo il caffè e la CocaCola che ci avevano offerto. Alla fine al bambino è stato permesso di uscire dalla tinozza. Lo hanno asciugato ben bene con un asciugamano ed è scappato via. Dopo quella dimostrazione, il padre ci ha tenuto a dire che loro erano puliti, che andavano sempre a prendere l’acqua, che si lavavano. Erano tutti particolarmente gentili, cerimoniosi. Scusa, Giovanni, ma per un momento mi è venuto da pensare che ci avessero appena mostrato la merce… Per cui poco fa, quando mi hai parlato di uno di loro che vende il bambino ai pedofili…” Giovanni abbassa gli occhi. “Sì, potrebbe essere proprio lui.” Restiamo in silenzio per qualche istante. Poi Giovanni mi parla del suo disagio perché adesso sa questa cosa, di gente che offre forti cifre a questi miserabili perché gli diano in pasto il bambino e di questi che non sanno resistere e accettano, e non sa come fare, se continuare ad aiutare anche chi si comporta in questo modo oppure no. La telefonata che ha ricevuto poco fa sul cellulare era proprio della madre di quel bambino, gli chiedeva se era già riuscito a trovare per loro una casa a Pavia. Io mi ero accorto che Giovanni rispondeva in modo laconico, spazientito. “Ho persino litigato con un paio di persone” mi dice “che sono arrivate a darmi del razzista perché facevo queste distinzioni. Loro giustificano tutto con la povertà, la miseria, il bisogno, sembra che la cosa non gli faccia in fondo né caldo né freddo, che gli vada bene…” “Ma sì, perché l’hanno ficcata dentro un sistema di idee, che li mette al sicuro dall’orrore e dal male, che gli fa comodo, che alimenta la loro falsa coscienza. Sono degli scellerati anche loro, con tutte le loro coperture ideologiche e politiche, non si rendono conto che così facendo sono anche loro complici di questa profanazione e di questa carneficina. Scusa, Giovanni, ma io su queste cose non ragiono, non riesco ad accettare o a inventarmi delle relativizzazioni e delle giustificazioni. Riesco a capire lo sconfinamento nella piccola criminalità per chi vive dentro questo cerchio infinito di marginalità e di persecuzione, ma chi vende e fa strazio del corpo e della persona del proprio figlio bambino e lo dà in pasto a questi bravi e luridi cittadini, magari di giorno anche loro razzisti e xenofobi come si conviene ma che poi di notte si aggirano attorno a questi ruderi subumani con il portafoglio pieno di soldi e la lingua fuori, io questo non lo giustifico, non lo accetto. Neanche la povertà, la miseria me lo rende accettabile, perché anche tra i miserabili, sempre, in ogni situazione, in ogni epoca, c’è chi fa queste cose e chi non le fa, e se io non voglio vedere questo schiaccio e uccido ogni differenza, non riesco a cogliere la disperata forza della vita nel suo movimento verso la luce e la sua tragica libertà. Queste coperture ideologiche di chi fa della miseria una causa, un indistinto, un feticcio, di chi vuole vedere come unico motivo di tanta abiezione la sola condizione economica e ambientale e che si rifiuta di vedere e patire questa carneficina, a me fanno orrore. Perché anche in queste catene di tragedie e abiezioni sociali e ambientali c’è chi porta sulle proprie spalle più di ogni altro il peso di tutto. In questo caso è quel bambino, e io sono completamente e visceralmente dalla sua parte. È quel bambino che porta la croce per tutti, per quegli animali che gli sfondano il culo, per i suoi scellerati parenti e per tutti noi. Così come ci sono in Italia trentamila ragazze rumene, delle quali il cinquanta per cento bambine, tenute schiave da criminali rumeni foraggiati dai maschi italiani con almeno duecento milioni di euro all’anno. E non riuscire a vedere queste cose, stare con la testa in un rassicurante bozzolo ideologico o sociologico di omertà razionalizzata e di mala fede e non riuscire a distinguere chi regge il peso di tutto questo sul proprio piccolo corpo ti rende complice di questo orrore.” Tutto è mosso. Se si va vicino, molto vicino a tutta questa disperazione e a questa ferita, si vede che è tutto mosso, che ci sono le oscurità e le luci, le persone diverse ciascuna chiusa nel proprio involucro di carne, le singole vite, che persino sui bordi di questa piaga tutto si divincola e brulica, come i microrganismi e le cellule che combattono alla cieca per la propria esistenza e salvezza fin dentro il cuore della materia infettata. Niente è fermo. Nell’indistinto ogni cosa si muove. C’è qualcosa, da una parte e dall’altra, dalla parte degli zingari e da quella degli altri e persino dei nemici degli zingari, che non sta mai fermo, si muove. Non bisogna nascondersi una parte della verità per far andare a posto le cose.

*****

Da noi alcuni si fermano, altri no. Alcuni trovano un lavoro e si adattano a farlo, mandano i bambini a scuola. Altri no. Continuano a spostarsi, a vivere di espedienti, rimangono irriducibilmente zingari nella testa. Mi hai detto che in Italia ci sono circa centomila zingari, l’ottanta per cento di nazionalità italiana. I passaggi non sono mai netti. C’è una compresenza di diversi modi di vivere, quello precedente e quello dettato dalla necessità di aderire alla situazione attuale, sono come quegli animali che conservano nel loro corpo organi di una specie e altri di un’altra. Si spingono in zone più ricche dove si installano con le loro piccole economie parassitarie, trovano delle persone buone come te che non riescono a tollerare la vista di una simile miseria e degrado e li aiutano, fanno delle battaglie civili per loro, accettano di vivere come nessun altro riuscirebbe a vivere però vanno avanti, con la loro irresistibile potenza riproduttiva gettata geneticamente allo sbaraglio, con la loro irriducibile e misteriosa identità. L’esistenza, ancora oggi, di un simile popolo non si spiega solo con i meccanismi economici. Ci sono strutture precedenti che non si sciolgono dentro l’acido totalizzante dell’economia e dell’influenza ambientale. Nella presenza degli zingari c’è qualcosa che non è spiegabile secondo i soli parametri economici e sociali e che affiora da strutture precedenti che non si sono diluite del tutto, che questo strano, inspiegabile popolo ha conservato in sé attraverso il tempo e lo spazio. Ti devo dire sinceramente come la penso. Noi facciamo bene a raccogliere informazioni economiche, sociali. Aiutano molto a capire. Ma non sono tutto. Non sono sufficienti per farci capire fino in fondo l’esistenza di questo popolo infinitamente duttile e mobile, ma che nello stesso tempo si muove in ogni paese e in ogni continente come l’olio nell’acqua. Fai bene a lottare perché abbiano uguali diritti e uguali doveri, ma nello stesso tempo bisogna rispettare e accettare la loro diversità e inspiegabilità, altrimenti è solo una forma di paternalismo che vorrebbe assimilare ogni cosa, rendere anche questo popolo uguale a noi, visti come la misura e il modello di tutte le cose. Attorno agli zingari, da una parte e dall’altra, c’è molta demagogia, feticismo, proprio perché la loro diversità crea problema, quando non addirittura spavento. Questo popolo senza una tradizione scritta, senza uno stato, senza un esercito, che sembra uscire dal nulla, diviso in mille rivoli e per niente solidale e unito ma che mantiene a dispetto di tutto i suoi tratti inconfondibili. C’è chi ne fa un feticcio negativo e ne vede solo il male, i mendicanti, i parassiti, i ladri, gli anti-sociali, i devianti, gli incontrollabili, preda di paure dove sembrano riaffiorare le prime laceranti e feroci divisioni tra i nomadi e i sedentari, tra i popoli che vivevano di caccia e quelli che hanno cominciato a praticare l’agricoltura, che hanno spaccato il genere umano per lungo tempo e da cui sono nate le nostre civiltà. Le risposte che danno alle loro paure, ai loro terrori sono, oltre che inaccettabili e odiose, stupide, miopi, sbagliate. Eppure rivelano una percezione primordiale che coglie un aspetto intimo che altri si rifiutano o non sono in grado di cogliere: che non si tratta di semplici spostamenti di piccoli gruppi trascinati qua e là dal mercato del lavoro ma di vere e proprie migrazioni, delle prime avvisaglie di migrazioni infinitamente più grandi che avverranno con ogni probabilità nel futuro come conseguenza degli incorreggibili meccanismi economici e politici umani e dei probabili disastri naturali che ci aspettano. E credono che i loro stupidi, miopi ostracismi li metteranno al sicuro da tutto questo. E poi c’è chi, altrettanto stupidamente, ne fa un feticcio positivo e una caricatura di segno opposto: gli zingari felici, con la loro libertà e i loro stracci colorati, le loro musiche, i loro balli e le loro feste, con il loro rifiuto dei nostri modelli economici e sociali di vita, il regno anarchico della libertà. Ne fanno la versione moderna del buon selvaggio, sono sempre in cerca di una causa che li faccia sentire bene, nel giusto, dopo che altre cause sono miseramente fallite. Sono tutti e due soltanto modi diversi per disinnescare l’indigeribilità di questo popolo incomprensibile e inestirpabile. Un popolo che conserva costumi e modi di vivere che vanno per conto proprio rispetto a quelli degli altri popoli, ai popoli gagé in mezzo ai quali si trovano a vivere, nei confronti dei quali mantengono il più delle volte un atteggiamento strumentale e ostile. Mai avuto nella loro storia uno stato, un esercito, mai dichiarato guerra a nessun altro popolo eppure in guerra contro l’intero mondo che li circonda. Neppure una struttura criminale centralizzata con cui farsi largo durante la penetrazione nei territori alieni. Nessuna identità costituita come una legge, nessuna tradizione scritta che permetta di fare luce sulle origini e sulla storia di questo misterioso popolo, che mantiene tutta la sua diversità, la sua disperata energia e la sua forza nel piccolo mondo globale che solo poco tempo fa aveva teorizzato la fine della storia e della possibilità stessa dell’esperienza nell’illusione infantile e senile di conservare per sempre la propria terminalità. Barbari che vengono prima ancora dei barbari, prima ancora che si formassero le strutture guerriere barbare in grado di dare il cambio alle precedenti strutture imperiali nate da precedenti barbarie. Gli ebrei -altro popolo misterioso ai quali gli zingari vengono spesso paragonati per cercare di capirne qualcosa, hanno espresso di nuovo dal loro interno uno stato, un esercito, una forza politica e culturale strutturata e globalizzata. E hanno una forte tradizione scritta, hanno un libro, anzi il Libro, sono stati persino chiamati il popolo del Libro. Gli zingari non hanno niente di tutto questo. Il loro universo preindustriale è mobile persino nella sedentarietà, molti di loro cambiano spesso lavoro, anche quando si fermano a vivere in uno stesso posto, non sembrano interessati a esperienze lavorative di lunga durata o a tempo indeterminato, anche quando si sedentarizzano mantengono una loro pendolarità spaziale e mentale. Si adattano a ogni ripiego. Il popolo libero si trasforma nel popolo di servizio, che si adatta a servire persino le esigenze più ignobili dei popoli da cui strappano a brani la propria sopravvivenza. Non pare esserci un ordine preciso, una direzione, un comando, che spieghi perché questo popolo continua a migrare, questo fiume continua a scorrere. Questo misto di libertà e opportunismo, di fierezza e di infingardaggine, di irriducibilità e di parassitismo.

*****

“Io qui ho avuto sette spose!” dice d’un tratto “Una di loro, quella che ho amato di più, era una prostituta.” Si interrompe un istante. “Le puttane sanno come farti andare fuori di testa” conclude. “Sette spose compresa la sorella di Lùcica?” gli chiede Giovanni. “No, sette oltre a quella.” “Ma proprio mogli?” “Per noi zingari basta che una venga nella tua casa e dorma con te che è già la tua sposa.” “Ma intanto eri già sposato con la tua moglie di adesso?” “Sì.” “E lei lo sapeva?” “Certo che lo sapeva! Io non le ho mai nascosto niente! Certe volte stavo via di casa anche per settimane intere. Lei mi chiamava sul cellulare. ‘Dove sei?’ mi chiedeva. ‘Perché me lo chiedi? Lo sai dove sono!’ Ma non mi sono mai dimenticato della famiglia, mandavo metà dei soldi che riuscivo a procurarmi alla mia famiglia e metà li davo a quell’altra.” “E tua moglie non diceva niente?” A questo punto Dumitru si abbandona a una terribile esplosione di sincerità. Il tutto dura pochi minuti ma ci lascia senza fiato, e ci fa capire come sia pesante -più ancora di quello degli zingari maschi- il peso portato dalle zingare femmine. “Dire qualcosa? Ma stai scherzando? Le nostre donne non si devono azzardare ad aprire bocca, se no le massacriamo. Ma proprio niente devono dire, neanche tanto così, non devono neanche fiatare. Quando ci scateniamo devono solo stare basse e aspettare che sia finita, guai se sentiamo una sola parola, un sospiro, perché allora è peggio. Non è che le pestiamo, le massacriamo. Non so se hai visto bene la testa di mia moglie. È rotta in due punti, ha due buchi grossi così. Ha anche un braccio rotto. Devo usare un cavo di gomma perché con le mani nude l’ammazzerei. La vista del sangue non mi ferma, mi scatena ancora di più. Non mi fermo fino a quando è distesa a terra piena di sangue e non si muove più.” Si interrompe. Ci guardiamo senza fiatare. “Lo vedi che pezzi di merda sono gli zingari!” conclude un istante dopo.

*****

Da “Zingari di merda” – Antonio Moresco (2008)

Il lavoro culturale: giocare a scacchi con le parole

scacchiparole

(Jonathan Wolstenholme, Chess)

Da “Luciano Bianciardi, Il lavoro culturale

Per comodità di chi voglia fruttuosamente dedicarsi al lavoro culturale, sarà opportuno raccogliere, a questo punto, tutta una serie di indicazioni circa il problema del linguaggio. C’è infatti un lessico, una grammatica, una sintassi e una mimica che il responsabile del lavoro culturale non può ignorare.

Cominciamo subito, perciò, con il nocciolo della questione, con il termine problema; nonostante la differenza spaziale (alto-basso) dei due verbi il problema si pone o si solleva, indifferentemente; ma c’è una sfumatura di significato, perché “porsi” è oggettiva, cioè sta a dire che il problema è venuto fuori da sé, mentre “sollevare” è attivo: il problema, in questo caso, non ci sarebbe stato se non fosse intervenuto qualcuno a farlo essere.

Quasi sempre il problema, posto o sollevato che sia, è nuovo; e si dà gran merito a chi, accanto agli antichi e non risolti, solleva problemi nuovi e interessanti o meglio ancora, di estremo interesse, purché siano, ovviamente, concreti. Sul problema si apre un dibattito. Dibattito è ogni discorso, scritto a parlato attorno a un certo argomento un certo problema in cui intervengono due o più persone. Il dibattito, oltre che concreto e più spesso che concreto, è ampio e profondo, anzi, approfondito, e quasi sempre si propone un’analisi (approfondita anch’essa) della situazione. La giustezza della nostra analisi sarà poi confermata, invariabilmente, dagli avvenimenti. La situazione è sempre nuova e creatasi (da sé, parrebbe) con o dopo.

Al dibattito gli interventi portano un utile contributo. Essa può assumere anche la forma di convegno: in questo caso è parlato, gli interventi sono numerosi, e gli intervenuti sono giunti da ogni parte d’Italia. Dal dibattito scaturiscono, oppure emergono o anche, più semplicemente, escono, alcune indicazioni.

Le indicazioni sono anch’esse utili. Se possono esprimersi in una breve frase, allora si chiamano parole d’ordine. Per esempio: Per un / per una (cinema, teatro, romanzo, arte, cultura, scuola, pittura, scultura, architettura, poesia) nazionale e popolare. In caso contrario quando cioè le indicazioni non abbiano questo potere di contrazione espressiva, si parlerà di tutta una serie di iniziative, utili, naturalmente, e concrete, ma di massima, suscettibili cioè di elaborazione,

Concreto, come si è visto, è il problema, il dibattito, l’intervento e l’indicazione. A memoria d’uomo non si è mai saputo di un problema, dibattito ecc. che si sia potuto definire astratto, Come non si è mai saputo di un problema risolto; semmai superato, dalla situazione creatasi con o dopo. A volte poi si è scoperto che il problema, pur essendo concreto, non esisteva. In casi simili basta affermare che il problema è un altro.

La scelta dei problemi si chiama problematica quella dei temi, tematica. Ricordo che una volta, a Firenze, discussero tre ore su questo problema concreto; se fosse necessario porsi prima il problema della problematica oppure quello della tematica. Un problema è anche, spesso, di fondo, Esso si adeguerà alle prospettive, nuove e concrete, di lotta, per o contro.

Lotta, anzi lotte, è l’azione quando incontra un ostacolo, altrimenti l’azione è pura e semplice attività. Ma tanto per le lotte che per l’attività si mobilitano tutte le forze, si toccano larghi strati, o larghe masse, si estende l’influenza, ci si pone alla testa e ci si lega anche strettamente. Al servizio della lotta si pongono le proprie capacità.

A volte le cose non sono così semplici; ma il dibattito ha appunto l’ufficio di indicare gli inevitabili difetti, determinati dalla situazione. I difetti consistono quasi sempre nel non aver sufficientemente utilizzato, elaborato, applicato le indicazioni emerse da un esame autocritico. Ogni dibattito assolve anche a questa funzione.

Accanto al problema, ma un po’ più sotto, c’è l’esigenza. L’esigenza si sente, anzi, si è sentita, A volte sorge, o meglio, è sorta, ed in ambedue i casi occorre andarle incontro. Problema ed esigenza riguardano a volte i rapporti con.

Con gli intellettuali, per esempio.

 

Boom di truffe su Whatsapp: la guida definitiva per riconoscerle

truffawhatsp

Da qualche anno, l’avrete notato, arrivano molti messaggi sospetti sul vostro smartphone. Un concorso ikea, un concorso di Zara rispondi-a-un-sondaggio-e-ti-diamo-150-euro, panini da McDonald gratis bastacheclicchiqui, voli gratis Ryanair se ci scrivi “sì lo voglio e ci dai la tua mail e il numero della tua prepagata”: insomma tanti messaggi invitanti che propongono omaggi e concorsi con premi facili, facilissimi da ottenere. Ovviamente sono tutte cazzate.

Come fare a riconoscerle?

Facilissimo.

Se vi arriva un messaggio che vi promette ricchi premi a patto che clicchiate su un indirizzo web è sicuramente una truffa.  Quante possibilità ci sono che una persona vi fermi per strada per regalarvi 100 euro? Esatto, nessuna. Per quale motivo una grande azienda dovrebbe regalare soldi a migliaia di utenti? Esatto. Nessun motivo.

Nessuno vi regala niente. No. Nemmeno se rispondete al sondaggio.

Fine.

Basta un sassolino

Oggi indosso le mie scarpe preferite.
Sono le più comode, è come non averle ai piedi.
Le ho pagate tanto, ma valgono ogni soldo speso.
Oggi c’è un sassolino che mi tormenta
ma giunto a casa lo toglierò.
Ad ogni passo presagisco il fastidio e lo provo due volte.
Maledette scarpe, non le sopporto.
Le scarpe più scomode che abbia mai indossato.
Sassolino maledetto.
Scarpe maledette.
Quel venditore mi ha truffato.
Ora sono scalzo.
Scalzi si sta davvero bene.

Si consiglia di accompagnare con buon Vinicio Capossela – Componidori

Capita di capire

 

whiteclouds

se riesci a imparare a chiacchierare più lento.

e riesci a respirare tra una frase e l’altra e, se serve, anche a metà.

Pensare alle parole che usi, al modo in cui arriveranno alla persona a cui le rivolgi.

Fermarti, sempre, su quello che ascolti, prima di cliccare play e rispondere con un brano a caso della tua playlist standard.

Capita di capire se impari a ricordarti che il silenzio no, non è un difetto.

Se scegli di parlare a sproposito, ché a volte è necessario, e poi guardi cosa succede.

Capita di capire se riesci a trasformare il silenzio che imbarazza in silenzio che riempie, che matura.

Perché il silenzio è bellissimo: serve a immaginare, a guardare, a scoprire che ci sono cose che puoi dire anche stando zitto

e che ci sono cose che puoi dire solo stando zitto

e che ci sono cose che… le capisci sempre mentre sei in silenzio

A volte le migliori.

[mood: Nuvole bianche – Ludovico Einaudi & Paolo Fresu]

I LIKE TENDONO A FARTI DIVENTARE UN COGLIONE

likelikelike

Tanti like dimostrano la qualità delle tue parole? Se stai pensando “sì”: complimenti, sei un coglione.
La risposta giusta è: una gloriosa ceppa.

In questo post parleremo di consapevolezza for dummies, o se preferite di consapevolezza applicata alle pubblicazioni su facebook.
Fateci caso: la ricerca spasmodica del like sta rovinando i nostri newsfeed nello stesso modo in cui ha rovinato i palinsesti delle tv che hanno deciso di mettersi all’inseguimento ingordo dello share con reality e porcate di bassa lega.
Il motivo è quantomai banale: viviamo in una nazione di fottuti analfabeti del cazzo che non capiscono una beneamata sega di quello che leggono, ammesso che lo leggano, e reagiscono con entusiasmo alle peggio stronzate di pancia. Il numero dei like, sarete d’accordo con me, può essere indice di tante cose ma non è strettamente legato alla qualità di ciò che pubblichiamo.

Lo sappiamo tutti.

Intercettare un sentire nazionalpopolare, un luogo comune, un codice comprensibile a molti produrrà un’infinità di like e condivisioni, cosa che di rado accadrà pubblicando una riflessione acuta e ragionata, magari più lunga di 9 righe. Probabilmente alcuni di voi si ritroveranno a pensare che no, non è così. Che io dei like me ne frego. Eppure il contatore degli insights, il numeretto rosso delle notifiche, la brama di engagement si insinuano come la voce di una sirena anche nelle vostre orecchie e inconsapevolmente ci cambiano e ci consigliano di pubblicare non per l’esigenza di dire qualcosa ma col preciso scopo di inseguire dei “mipiace”.
Vi risparmio l’allungo del brodo e tutto il blablabla corollario. Quello che voglio dire all’interno di questo pallosissimo post moralizzatore è: fate attenzione quando misurate il successo delle vostre parole. Riflettete sul perché, più che sul quanto. Non fatevi incantare dai numeri, chiedetevi sempre: per chi sto pubblicando? Per me o per la bagassa del pifferaio magico?

Non vendete l’anima al dio pollice.

Grazie.

LA MALINCONIA DELLO SPAZIOTEMPO

Albert Einstein l’aveva prevista nel 1916, l’esistenza delle onde gravitazionali, all’interno della sua Teoria Generale della Relatività: gli oggetti che hanno una massa deformano lo spaziotempo, proprio come un ippopotamo seduto su un letto deforma un materasso. Cosa c’è di più malinconico di un ippopotamo che sprofonda con le sue chiappone su un materasso?

La risposta è semplice: tanti ippopotami che sprofondano con le loro chiappone su un enorme materasso. 

spaziotempodistorceippopotamo

Lo spaziotempo è come un materassone di lattice dove stanno poggiati i culoni di tanti ippopotami. Ippopotami malinconici che noi chiamiamo pianeti, stelle, e tutte quelle altre robe lì.  La malinconia invece è quella cosa invisibile che quando sei un po’ pesante e ti ci appoggi, ti affossa il tanto che basta da creare una nicchietta, un piccolo avvallamento che mentre ti vende l’illusione d’essere protetto, ti rallenta e condiziona te e lo spazio che ti circonda. Lo spaziotempo, a guardar bene, avremmo il diritto di considerarlo a tutti gli effetti un sinonimo della malinconia, perché ci condiziona esattamente nello stesso modo; e dato che “considerare” deriva da cumsidera (con le stelle) e, originariamente, significava “divinare”, cioè profetizzare, interpretando le stelle, ne consegue, converrete con me, che l’atto stesso del considerare sia da sempre una pratica legata all’universo.

Tutto l’universo in effetti è un grande gioco di malinconia: il solo fatto che i nostri occhi guardino la luce di un prato di stelle che non esistono più e che anche il nostro sole ci arriva con 8 minuti di ritardo dovrebbe bastare ad eleggere l’universo a fondatore della malinconia. Che, come già detto sopra, imita lo spaziotempo.

In un sistema solare, la stella attorno a cui orbitano i pianeti è di solito l’oggetto più pesante nei paraggi e crea un’enorme deformazione dello spazio che ha intorno, e di conseguenza condiziona il movimento dei pianeti che le sono vicini. Enormi oggetti che si guardano da lontano, che continuano a girarsi attorno come i cani prima di annusarsi, ma che non si annusano mai, attratti da forze contrastanti nella speranza di toccarsi, ignari del fatto che l’universo, nel mentre, si espande. Sbaglio o vi è familiare, cari malincronici? Si lo so che a voi piacciono i meteoriti, bizzarri, scapestrati esseri che sfidano il sistema per poi schiantarsi sulla prima luna o bruciare a contatto con un’atmosfera dopo aver vissuto la vita un quarto di miglio alla volta: ma i Baricchi, Coheli e Foster Wallaci che la maggior parte di voi conosce con lo pseudonimo di Fabio Volo, cosa sono se non la stella che deforma il vostro spicchio di universo?  

Poi ci sono i buchi neri. Ma quelli li spieghiamo un’altra volta.

Socialmente-catti e approcci online: un fenomeno scientificamente inspiegabile

certo

Avete mai finto di essere una ragazza all’interno di un social media?

Io sì. Non è difficile: create un account, mettete una foto carina, commentate sulla bacheca di qualche amico e poi aspettate. Come a bolentino.

Un po’ di rumore e i ghiozzi arrivano subito.

In poco tempo comprenderete quale sia la mole, il fiume di richieste, messaggi, foto che oggi arrivano alle ragazze sul social. Un fiume estremamente noioso di messaggi impensabili e di gran lunga oltre la soglia del patetico il cui unico scopo è mascherare l’evidente istinto riproduttivo. Se non ci credete provate a cambiare la vostra foto profilo con quella di una bella ragazza, anche se vi chiamate Calogero; lasciate pure il nome, funzionerà lo stesso. E inizierete a capire.

Il minimo che dovete aspettarvi è un loop di:

“Ciao, cm va? Che si dice?” – o “Ciao, ti va di fare amicizia?” – “wow, sei carina”. “ciao…”  “…..ciao splendore!”. – vuoto su vuoto rimarcato da immancabili puntini di sospensione.

Riceverete anche tante richieste di amicizia mute.

Silenzio.

Niente proprio. 

Nemmeno un ciao.

Ma potrebbe andarvi anche molto peggio: mutandeiros dall’addominale in prima pagina, signori di mezza età ansiosi di mostrarvi la personale di foto osé, mipiaciatori  seriali che satureranno tutta la vostra area notifiche.


PARAGRAFO 1. (LA DOMANDA)

Il post di oggi, l’avrete capito, è dedicato ai miei amici di sesso maschile, e in particolare a quelli alla costante ricerca di una ragazza su facebook / instagram / tinder / snapchat, e che lamentano grandi difficoltà di approccio perché non capiscono, perché non…

Perché? Ecco. Partiamo da questa domanda.

Perché i ragazzi si danno la zappa sui maroni con approcci scritti da un homo erectus il cui unico sottotesto è “ciao, sono un coglione, vuoi scopare”?

approccio-tragicosenzasenso

Non ci è dato saperlo. Perché rendersi ridicoli alla prima battuta? Mistero. Dove sono finite le buone maniere e il gusto per il dialogo che pervadeva le chat alla fine degli anni ’90? Ebbene, è quello che cercheremo di scoprire all’interno di questo post: colpa del mezzo? I ragazzi di oggi sono davvero così sfigati? Insomma: cos’è successo? Per quale motivo un’orda di unni sgraziati e semianalfabeti continua imperterrita a deformare il potenziale sociale di internet?


PARAGRAFO 2. (IL SONDAGGIO)

E le dirette interessate? Cosa ne pensano? Come reagiscono ai messaggi degli sconosciuti?

Sono andato a chiederlo a un campione significativo di ragazze giovani, belle e intelligenti. No. Non vi do i nomi. No, non potete visualizzare la mia lista amici su facebook. Si, ne conosco un casino. Ecco alcune delle opinioni che sono riuscito a raccogliere:

Paola mi ha raccontato che ha 100 richieste di amicizia in sospeso. Gli sconosciuti le inviano richieste di amicizia, foto, messaggi. Li odia tutti.

Giovanna pensa che “i bersagli di questi geni-della-comunicazione-che-scrivono-con-una-mano siano quelle ragazze che hanno bisogno di effimere attenzioni per sentirsi importanti, per sentirsi donne”

Francesca non gradisce conoscere persone attraverso internet. “Ignoro chiunque mi invii la richiesta, a meno che non sia un amico di amici. Gli amici degli amici infondono maggiore sicurezza, quindi magari ci parli.”

Carla conferma il trend del mutismo “il più delle volte mi arrivano richieste di amicizia senza messaggi. Non le accetto. E non mi scrivono di conseguenza. Niente. Silenzio.”

Federica sostiene che “chi cerca gente così lo fa abitudinariamente e non ha voglia di inventarsi ogni volta cose diverse, fa pesca a strascico buttando 10 ciao come va?”

Claudia sostiene che il meccanismo della richiesta di amicizia silente sia strettamente legato alla sfera sessuale, ovvero:

io mando la richiesta
se accetta
significa che vuole minca* (*dal sardo, cazzo [ndr])
e allora (e solo allora) ci parlo.

Emilia mi dice “in primis, quando ricevo un messaggio da sconosciuti mi viene l’idea del coddongio* (*dal sardo: attività legata al sesso) e quindi sciò. Li rifiuto sul nascere.
Però mi accorgo che è ipocrita, perché se incontro uno per strada non ho quell’atteggiamento, o certamente me la gestisco diversamente.
Quindi forse mi verrebbe da dirti che è perché non ti vedo. E aggiungerei che un po’ a pelle resta sempre l’idea che c’è qualcosa di malato in uno che mi cerca via internet, nascosto dietro al pc nel buio della sua stanza… senza metterci la faccia, buttarti con tutto te stesso, non so se mi spiego. Però mi rendo conto che è una stronzata e non significa nulla, che non è che sei per forza un maniaco soggetto, però è per spiegarti un po’ una sensazione di stomaco…”

Alessandra chiarisce “In genere le ignoro anche perché le poche volte che mi è capitato di accettarle poi la persona non ha detto assolutamente nulla. E dunque ti chiedi perché mi hai chiesto l’amicizia? Per farti gli affari miei. E poi molte volte sono profili fake di persone a cui non l’hai data (l’amicizia) … […] se è una persona simpatica che non scrive “wow sei carina” ci posso anche parlare

ciaoamicizia

Cinzia ammette: “se sono boni li accetto”. Se uno mi scrive cose interessanti ci parlo anche. Però se non mi piace a una certa li muro – Dipende appunto dal tipo di conversazione che si instaura. L’80% dei ragazzi che ti aggiunge non ha certo interesse a parlare di fideiussione bancaria, o magari sì ma poi ti vuole scopare uguale. Anche perche se aggiungi uno sconosciuto su facebook l’unica cosa su cui ti sei basato sono le foto.

Michela è meno nazista con l’ignoto e non teme il dialogo con gli sconosciuti “ogni tanto vanno bene… tipo io e te adesso siamo migliori amici e prima eravamo sconosciuti… Poi certo, mi è capitato uno che a un certo punto mi ha mandato le foto del pisello e non l’ho più sentito. Dipende.”

Valeria spiega “la mia bacheca funziona quasi come un diario personale, foto e pensieri quotidiani, legame stretto con luoghi e persone reali (nel mio caso anche molte immaginarie XD) a nessuno o quasi va che uno sconosciuto ti controlli le mutande nel cassetto, anche se poi, a ben vedere, non scrivo nulla di così strettamente confidenziale. I blog personali sono canali moto simili a volte, ma forse l’ipertematicità gli regala una certa spersonalizzazione. La gente che mi manda richieste di amicizia senza nessun messaggio parallelo può darsi che voglia solo aumentare il numero di amici per esigenze professionali, commerciali etc. Oppure ha visto la foto, è incuriosito dalle persona ritratta ma non ha il coraggio di inviare un messaggio. Se mi scrivono contestualmente un messaggio con altri interessi parasessuali li muro senza neanche rispondere; se non li conosco personalmente ma sono amici di amici e hanno un profilo interessante, sia professionalmente che umanamente, valuto.”

Manuela tende a non accettare richieste dagli sconosciuti: “Salvo rarissime eccezioni. Se poi mi scrivono, valuto da cosa e come scrive. Se mi scrivono in itaGliano, o se scrivono un noiosissimo ” ciao che carina ” e bla bla bla sto già sbadigliando e manco rispondo.” Se una tipa ti scrive coi piedi e ti manda una foto sua nuda, ti infoga? A 15 anni forse. Se uno che non conosco decide di volermi conoscere via fb (per quanto la cosa a prescindere mi faccia storcere il naso) deve trovare un modo per attirare la mia curiosità e un “ciao sei gnocca” non è la strategia giusta. Che ci sia un interesse di tipo sessuale più o meno esplicito non è un problema, il problema è il come si manifesta questo tipo di interesse. Quindi direi a occhi chiusi che è la bambaggine* (*mancanza di sapidità) il principale problema.

Viviana è convinta che l’invio di messaggi di media banalità sia una pratica assimilabile a quella della pesca a strascico: poverini, fanno “ndo cojo cojo”. primo poi, qualcuna risponderà. Questi provano a modo loro a tramandare i geni, sono talmente semplici che mettono anche tranquillità.

***


PARAGRAFO 3. (L’ESPERIMENTO)

“Ordinaria amministrazione se hai la vagina”. una mia cara amica, che chiameremo Nausicaa, sostiene che sia praticamente impossibile aspettarsi incontri edificanti dal pianeta web e che è naturale che le persone siano ormai irrimediabilmente prevenute: -Ogni giorno arrivano molti messaggi banali, e altri privi di qualsiasi tatto: “vorrei leccarti” – “mi ecciti, beibe”. Robe che la peggiore sceneggiatura di film porno farebbe senza dubbio di meglio.

Io non sono d’accordo, ho una mia teoria e ho deciso di indagare per provare a capire perché dal mondo del social agli anni dell’internet senza foto in bella vista e con i nickname, la socialità spontanea sia cambiata in maniera così marcata: alla fine degli anni ’90, senza la sovraesposizione di immagini che ci portiamo dietro oggi e che lega a doppio filo la nostra identità digitale con quella reale, le persone dialogavano con molta più libertà, senza sentirsi immediatamente oppresse dalla tensione sessuale che è invece emersa prepotentemente negli ultimi tempi.

Con un improbabile esperimento, attraverso il quale ho verosimilmente distrutto ogni mio residuo di dignità sul web, ho deciso di dimostrarle che ha torto: per il mio scopo ho progettato dei messaggi alternativi da inviare a delle ragazze random, con un numero sufficiente di foto pubbliche che consentisse di capirne per sommi capi i tratti caratteriali, al fine di vedere quanto sia ancora possibile interagire con sconosciuti senza essere etichettato in men che non si dica come un viscido bavoso. In pratica ho iniziato a scrivere messaggi semisconnessi a pivelle inarrivabili, bone spaziali che verosimilmente ricevono 350 messaggi al giorno, per vedere in quanto tempo mi avrebbero bloccato.

I messaggi che ho provato ad inviare sono i seguenti.

Primo messaggio:

“Ciao, scusa, ma perché sei così nuda su facebook? E perché fumi la droga? E come mai hai tatuaggi che rievocano il demonio?”

Con questo messaggio ho ottenuto unicamente risate. E poi, come diceva la sigla di Ken il Guerriero, silenzio.

Secondo messaggio:

“Ciao sono ZYX, hai appena messo mi piace a un mio commento sulla bacheca di un mio contatto e tutti sanno che quando una ragazza mette mi piace a un commento ti vuole moltissimo. Mi dispiace ma non sono interessato. Ho deciso di aggiungerti agli amici perché ho un progetto di social media marketing per cui sto aggiungendo solo pivelle bone per far vedere ad altre pivelle bone che ho pivelle bone tra i contatti. Anzi già che ci siamo, dato che sei molto carina non è che hai amiche che ti somigliano da presentarmi?”* 

Questo messaggio ha avuto più successo. Ho chiacchierato con quasi tutte le ragazze a cui ho inviato questo delirio.

Lo stesso messaggio l’ho poi indirizzato a ragazze che avessero come tratto comune un profilo fortemente carico di selfie visibili al pubblico.  Obiettivi raggiunti: 7 “Visualizzato alle” 6 “non puoi più comunicare con questo utente”. 

Nessuna risposta, ma conferme ottenute. Segnatevelo: l’ostentazione pubblica non va di pari passo con la voglia di socialità.

Terzo messaggio:

“Ciao. Sono ovviamente uno stalker. Ho provato ad inviarti la richiesta di amicizia senza dire niente per vedere che effetto fa mandare richieste di amicizia senza dire niente.”

A dispetto delle aspettative questo messaggio è stato apprezzato e non ha generato un fiume di ban istantanei.

Il messaggio che ho invece scelto di inviare alle ragazze che avevano un cane/gatto/animaledomestico come fotoprofilo è stato il seguente:

“ciao, ti ho aggiunto perché credo fermamente che gli animali siano molto migliori degli uomini e volevo sapere se tu ti senti più essere umano o animale”

Con questo messaggio ho ottenuto interazioni: mi hanno risposto per scrivermi parolacce. Poi bannato. Va beh, lo sapevo. Ma l’ho fatto per la gloria.

***

In conclusione

Si può dire che l’esperimento sia riuscito? Non lo so.

Siamo diventati tutti un po’ troppo diffidenti, un po’ troppo asociali, un po’ troppo maleducati, un po’ troppo snob? Probabile.

Fatevi delle domande.

Cosa vi aspettate quando inviate i vostri patetici messaggi? Chiedetevelo. Quando scrivete “mi arrapi” davvero pensate di ricevere come risposta “oh grazie, davvero, anche tu sei molto carino. Perché non ci vediamo una di queste sere?” Non potete essere così coglioni.

Prendete coscienza del fatto che siete questo. emmedieffe

È fondamentale che ve ne rendiate conto, ma non per voi, che siete irrecuperabili e alla fine chi se ne frega e anzi è anche meglio che non vi riproduciate: per tutti gli altri, quelli che magari vorrebbero solamente dialogare e hanno il piacere di conoscere persone nuove senza l’impellente desiderio di mostrarsi pronti all’accoppiamento.

Quello che ho capito io è che con l’italiano moribondo, si apprestano a decedere anche l’educazione e la creatività. Ok è la scoperta dell’acqua calda ma è brutto constatare che questa dinamica sta influenzando pesantemente la predisposizione al dialogo delle persone. Perché alle persone piace ancora conoscere gente nuova ma a nessuno interessa la vostra foto in mutande con la chitarra in mano, la macro dei vostri addominali non è un buon argomento di discussione e per annoiarsi c’è già la TV.

Nell’era della sovraesposizione mediatica, nell’era della glorificazione dell’immagine e della bulimia da selfie c’è una grande assente al tavolo della socialità: la capacità di comunicare, ed è molto peggio di quanto non vi sembri.

Non ci credete? Fate una semplice prova: smettete di usare le emoticon, e provate ad esprimere tutti i vostri pensieri con le parole.

Kissini.

TIMIDAMENTE.

Io, con le persone che mi piacciono
non riesco a parlare.
Mi blocco
ritorno timido.
Divento
goffo
zitto
incerto.
Mo
no
sil
la
bi
co.
Parlare con le persone che non ti piacciono molto, invece, è facile. Puoi esagerare, rischiare di dire qualcosa di sbagliato, provocare, insultare, ridere senza motivo. Checcazzotenefrega.
Questo volevo scriverlo per dirti che se non ti parlo, se bofonchio quando mi chiedi qualcosa, se sto un po’ zitto, in disparte, e se a malapena ti saluto quando ci incontriamo… beh, è perché io sono così.
Così. Oppure è perché mi stai sul cazzo.

IO E LEI. (LETTERA D’AMORE)

mood song: 2cellos – Shape of my heart

Io la amo, come si può amare solamente una donna con cui stai da tanti anni, una donna che cerca di non annoiarti mai. Io la amo, perché quando torno a casa, la sera, so che mi aspetta, sempre, pronta ad ascoltarmi e a suggerirmi ciò che il rumore di un giorno caotico non riesce a farmi sentire. Io la amo, perché mi ricorda il valore delle persone che mi vogliono bene, e che a volte si danno per scontate. Insieme ascoltiamo la musica più bella, guardiamo i film strappalacrime. Con lei ho riso di gusto e mi sono sentito uno scemo, con lei ho pianto e non è andata via.

Lei è quella che mi supporta sempre quando non so che decisioni prendere, quando sono intrattabile, e resta accanto a me a parlarmi piano e sorridermi anche tutta la notte quando non riesco a dormire. Se non c’è, lei mi manca, e a volte do di matto perché non riesco a non esserne geloso: ma che ci vuoi fare, non mi piace chi cerca di portarmela via e chi le sorride nel tentativo di farsela amica. Io ho bisogno di lei come lei ha bisogno di me, e se le sto lontano per troppo tempo mi sento incredibilmente vuoto, smarrito, solo. A volte la trascuro, mi allontano, ma mai per troppo tempo. Altre volte, è vero, quando arrivano quei momenti in cui non hai voglia di essere te stesso, e io so che è solo questo il motivo, l’ho maltrattata, l’ho tradita. Ma lei mi ha perdonato, e io non l’ho dimenticato, e siamo diventati più forti, e ci guardiamo negli occhi senza paura. So che si merita le mie attenzioni, perché in tutti questi anni, in fin dei conti, non mi ha lasciato mai, e se sono quello che sono oggi, tanto lo devo a lei: la solitudine.

lovecarte

Blue moon Yoga, banane e culi al vento.

chitarraspiaggia2

Primo giorno di ferie: decido di stare a casa a poltrire, come tutti gli altri giorni.
Perché io le cose voglio farle per gradi.
Primo giorno di ferie, sto su facebook a scrivere tontese e guardo un video in cui 1000 musicisti suonano una cover dei foo fighters, learn to fly, per convincerli a fare un concerto a Cesena: e ci riescono.

Plin.
Mi contatta un’amica che non vedo da tempo, fresca di laurea: devi venire con me a un festival blues, suona un’amica e poi festeggiamo. Non ne ho minimamente voglia ma non oppongo resistenza, altrimenti finisce che non ci vediamo per un altro mese e non va bene.

Andiamo al festival blues.
Al festival blues, stranamente, il pubblico batte le mani a tempo.
Al festival blues si beve Johnny Walker, la bevanda ufficiale dei festival blues. La birra non riscuote particolare successo, ma viene comunque acquistata per poi essere regalata al proprio vicino, calda ma con l’aggiunta di sputino superficiale, utile a ripristinare una parvenza di schiuma.
Il festival blues continua per diverse ore oltre l’orario prestabilito, poi finisce perché qualcuno, evidentemente non troppo entusiasta, stacca la corrente; il cantante, ingurgitate alcune pile duracell, non vuole smettere di cantare. Scende dal palco e continua: a luci spente, a guardiano che ci dice che deve chiudere e andatevene veloci.

Domani a Burcei c’è la sagra della capra -esordisce entusiasta un’amica-.
Il cantante, calabrisello, viene adottato dalla mia comitiva di scapestrati. Ce ne andiamo veloci, come suggerito dal guardiano, col cantante blues e con la luna blu, evento rarissimo -dicono- che capita ogni 3 anni. Rarissimo. C’è un falò in spiaggia nelle vicinanze. Il cantante ha i capelli lunghi e ha bevuto così tanto che tramuta il sudore in vino. E il vino puoi berlo dai suoi capelli. Jesus, beccate questa!

Andiamo al falò in spiaggia: arrivo per primo e il falò, come al solito, non c’è. Ci sono però delle buche che contengono delle candele accese. Con l’aiuto di un’amica, che come me sta riflettendo sull’età della pensione e sull’opportunità di tornare di corsa a casa a dormire, cerco di capire la qualità della festa. Davanti a noi, quattro/cinque gruppi di persone che condividono lo stesso spazio senza interagire tra loro: le immancabili comitive chiuse di ubriachi schitarranti, simbolo della cagliaritanità estiva che anela socialità per poi fare di tutto per non generarla.

Mentre ragioniamo sulle ore di noia che ci attendono, una ragazza ci ricorda che domani c’è la sagra della capra.

Ci avviciniamo con media circospezione al primo gruppo di giovani. Accanto a noi un ragazzo fa yoga. Le due di notte e un falò senza falò sono il momento perfetto per praticarlo, lo sanno tutti. C’è un caldo mostruoso, ma in riva al mare è più sopportabile: mi siedo sulla sabbia e noto che qualcosa non va. Due occhi fissi, incastonati in uno scialle, mi scrutano nella penombra. La sensazione è quella di essere davanti a un incrocio tra Gollum e un lemure con l’equilibrio psichico di Stephen King. Il lemure psicopatico continua a fissarci per alcuni minuti, poi si sposta. Tiriamo un sospiro di sollievo, siamo salvi.

leemurh

Arrivano, a cascata, tutti gli altri ragazzi della nostra comitiva. Cinque ragazze, senza riflettere un secondo, si levano ogni vestito e si lanciano in acqua. Lune blu, culi bianchi. Molto blues. Il bluesman non ci pensa due volte e segue le femmine ignude dentro l’acqua, spogliandosi anch’egli come un verme. È abbronzato come un catarifrangente e la luna piena lo sottolinea con ironia.

bagno-notte

Accanto a me il ragazzo che fa yoga: ha smesso, ora mangia una banana.

Lo sanno tutti che dopo lo yoga in spiaggia alle due di notte bisogna mangiare una banana guardando donne nude che fanno il bagno alla luce della luna.

Le baccanti e il bluesman nuotano insieme portando con sé la felicità di chi è nudo. L’idillio però dura poco, le femmine escono prontamente dall’acqua e colte dal freddo decidono di fare una corsetta avanti e indietro lungo la spiaggia per riscaldarsi. I vestiti, intanto, sono ancora ammucchiati sulla riva.

Il bluesman resta in acqua, da solo, nudo e catarifrangente, a riflettere la luna blu. Livelli di romanticismo over 100.000. La realtà è che verosimilmente vorrebbe anche lui uscire dall’acqua, ma deve aspettare che l’alzabandiera rientri. Molto blues. Esce poco dopo, visibilmente infreddolito, non trova le mutande e si infila i pantaloni a crudo, pieni di sabbia, distruggendoli. Ha perso anche l’armonica a bocca. È ubriaco come un monaco trappista, così lo aiutiamo a cercarla nel buio della riva. La trovo io.

Buona azione del giorno: fatta.

L’idea del bagno nudi è piaciuta e siamo ormai circondati da ragazze senza vestiti che bevono birra, appicciano sigarette, cantano Battisti e corrono lungo la battigia: in mare invece non c’è più nessuno, così alcuni decidono di ribaltare la situazione facendo il bagno completamente vestiti. Essere ribelli significa sfidare il sistema di valori che governa il proprio presente: essere calloni anche. Chiedo un bicchiere di vodka, mi dicono che i bicchieri sono finiti, mi passano la bottiglia e mi ricordano che domani c’è la sagra della capra.

Sta quasi per albeggiare e la spiaggia si è stretta in un unico cerchio dell’amicizia a cantare le canzoni di una volta: l’orchestra è composta da alcune chitarre, violino, e un glabro ragazzo nudo che gonfio di birra suona lo scraxio a mo’ di tamburo.

Bene. La mia estate è iniziata così. Non mi resta che augurare anche a voi buone vacanze: godetevele, che del doman non v’è certezza, sebbene ci sia, ineluttabile, la sagra della capra.

No, non hai diritto alla tua opinione.

[… la prossima volta che sentite qualcuno dichiarare di aver diritto alla propria opinione, chiedete perché ritiene che sia così. Ci sono buone possibilità che, se non altro, così facendo finirete con avere una discussione più piacevole.]

di Patrick Stokes

Ogni anno, io cerco di fare almeno due cose con i miei studenti almeno una volta. Innanzitutto, cerco di dar loro importanza chiamandoli “filosofi” – un po’ banale, ma auspicabilmente incoraggia un apprendimento attivo.
Secondariamente, affermo qualcosa di questo tipo: “Sono sicuro che avrete sentito l’espressione ‘ognuno ha diritto alla propria opinione’. Forse l’avrete detta voi stessi, magari per bloccare una discussione o per portarla a conclusione. Bene, non appena entrate in questa stanza, questo non è più valido. Non avrete più diritto alla vostra opinione. Avrete diritto solo a ciò che potrete provare.”
Un po’ rude? Forse, ma gli insegnanti di filosofia devono insegnare ai loro studenti come strutturare e difendere un ragionamento – e a riconoscere quando una convinzione è divenuta indifendibile.

Il problema con l’assunto “ho diritto di avere la mia opinione” è che, sin troppo spesso, è utilizzata per difendere convinzioni che avrebbero dovuto essere abbandonate. Diventa un’abbreviazione per “io posso dire o pensare quello che voglio” – e, per esteso, continuare a contrastare è in qualche maniera irriverente. E questa attitudine porta, io sostengo, alla falsa equivalenza tra esperti e non esperti, che è una crescente e perniciosa caratteristica del nostro discorso pubblico.

Innanzitutto, cos’è un opinione?
Platone distingueva tra opinione o credenza comune (doxa) e conoscenza certa, e questa è una distinzione ancora valida oggi: diversamente da “1+1=2″ o “non ci sono cerchi quadrati”, un’opinione possiede un certo grado di soggettività e di incertezza. Ma “l’opinione” parte da gusti o preferenze, attraversa domande che preoccupano la maggior parte della popolazione, come l’economia o la politica, sino ad argomenti che poggiano sull’esperienza tecnica, come le opinioni scientifiche o legali.
Non si possono realmente discutere le opinioni del primo tipo. Sarei stupido ad insistere nell’affermare che sbagli a pensare che il gelato alla fragola è più buono di quello al cioccolato. Il problema è che qualche volta implicitamente consideriamo che le opinioni della seconda, o anche della terza specie, siano indiscutibili nella stessa maniera dei gusti personali. Probabilmente questo è uno dei motivi (non dubito ce ne siano altri) per cui degli entusiastici dilettanti ritengono di aver titolo a non essere d’accordo con climatologi e immunologi e che i propri punti di vista debbano essere “rispettati”.

Meryl Dorey è la leader dell’ ”Australian Vaccination Network”, che, nonostante il nome, è completamente contrario ai vaccini. La Sig.ra Dorey non ha nessuna qualifica medica, ma sostiene che se Bob Brown (politico australiano) ha il diritto di commentare sull’energia nucleare nonostante non sia un fisico, lei dovrebbe avere il permesso di commentare sulle vaccinazioni. Ma nessuno ritiene che il Dr. Brown sia un’autorità sulla fisica delle fissioni nucleari; il suo compito è commentare sulle risposte politiche alla scienza, non sulla scienza in sé.

Quindi, cosa vuol dire avere “diritto” alla propria opinione?
Se “Tutti hanno diritto ad avere la propria opinione” significa esclusivamente che nessuno ha il diritto di vietare alle persone di pensare e di dire quello che vogliono, allora la frase è vera, seppure abbastanza banale. Nessuno può vietarti di dire che i vaccini causano l’autismo, indipendentemente da quante volte questa supposizione sia stata smentita.
Ma se “diritto ad un’opinione” significa “avere il diritto che i propri punti di vista siano trattati come seri candidati per la verità” allora la frase è chiaramente falsa. E anche questa è una distinzione che tende a essere confusa.

voltaireinternet
Un lunedì, il programma della rete ABC Mediawatch ha portato ad esempio il programma di WIN-TV Wollongong per un servizio su un’epidemia di morbillo che conteneva commenti di – lo avrete indovinato – Meryl Dorey. In risposta alle lamentele di uno spettatore, WIN ha risposto che la storia era “accurata, onesta e bilanciata e che presentava i punti di vista dei medici e dei gruppi di scelta”. Ma questo implica un uguale diritto ad essere ascoltati su una materia nella quale solo una delle due parti ha un’esperienza di rilievo. Ancora una volta, se si parlasse di risposte politiche alla scienza, questo potrebbe essere ragionevole. Ma il cosiddetto “dibattito” in questione è sulla scienza in sé, e i “gruppi di scelta”, semplicemente, non hanno diritto ad andare in onda, se quello è il punto dove si è in disaccordo.
Il conduttore di Mediawatch Jonathan Holmes è stato ancora più diretto: ” ci sono le prove e ci sono le cavolate” e nessuna parte del lavoro del giornalista consiste nel dare uguale tempo alle cavolate come all’esperienza.

La risposta degli anti-vaccinisti è stata prevedibile. Sul sito di Mediawatch, la Sig.ra Dorey ha accusato ABC di “richiedere apertamente la censura su un dibattito scientifico”. Questa risposta confonde il fatto che la propria opinione non venga presa seriamente con il non aver diritto di avere o di esprimere quelle opinioni o, per prendere in prestito una frase di Andrew Brown, “confonde il perdere una discussione con il perdere il diritto di discutere”. Ancora una volta, due significati di “diritto” ad avere un’opinione sono confusi qua.
Quindi, la prossima volta che sentite qualcuno dichiarare di aver diritto alla propria opinione, chiedete perché ritiene che sia così. Ci sono buone possibilità che, se non altro, così facendo finirete con avere una discussione più piacevole.

[qui trovate la versione originale, in inglese http://theconversation.com/no-youre-not-entitled-to-your-opinion-9978 ]

LA DANZA DELLE OLOTURIE

Immagina una giornata al mare.

Immagina di nuotare nel mare limpido, trasparente.

Immaginati di essere felice, con indosso la tua maschera e le tue pinnette nuove.

Di colpo vedi l’acqua diventare opaca, sfocata. Pensi si sia appannata la maschera ma non è così: c’avevi sputato bene, prima di indossarla -dici tra te e te- e se ci sputi si sa, non si appanna.

Non sai spiegarti cosa stia succedendo e preso da uno strano senso di smarrimento ti fermi, alzi lo sguardo e guardi il mondo sopra di te: non è appannato. La maschera è ok.

Continui a nuotare, ma poi le vedi.

Sono lì a migliaia, sul fondo, dritte dritte, felici.

In quel momento capisci. Capisci di essere in un brodo di primordiale fecondità: dentro il grande bukkake del mare.

 

FILMATI IN VERTICALE: L’OVVIO CHE SMETTE DI ESSERE OVVIO

telefonoQuesta mattina mi sono imbattuto in un videotutorial girato nel 2012 in cui viene affrontata la “Vertical video Syndrome”. Un video popolare, che ha oggi oltre 6 milioni di visualizzazioni e che, tre anni fa, grazie all’aiuto di alcuni simpatici pupazzetti, denunciava la dilagante e odiosa piaga dei filmati girati in verticale. Nella stessa mattina, scorrendo il newsfeed ho trovato ben 3 video girati in verticale. Un segno del destino, è evidente.

C’è un solo modo per tenere il proprio smartphone quando si fa un filmato, ed è quello che potete vedere in foto: cioè in orizzontale. I monitor sono in 16:9, i televisori sono in 16:9, youtube è in 16:9… Insomma, Che altro c’è da aggiungere al festival dell’ovvietà?  Niente. Tre anni sono passati da quel video, eppure capita sempre più spesso di imbattersi in filmati girati in verticale. Potete riconoscerli facilmente, sono quelli con il crop smarmellato al centro e due eleganti bande nere ai lati.

Se siete stanchi di leggere ora potete guardare il video. E’ in inglese, lo so, ma ci sono le figure.

Nell’era della sovraesposizione digitale produciamo quotidianamente tonnellate di contenuti inservibili, poco curati, per nulla pensati, è vero, ma il video girato in verticale è un po’ l’emblema della superficialità che dilaga. Il figlio prediletto del fare senza pensare, anni di storia della cinematografia buttati alle ortiche, 600 euro di smartphone in mano a una scimmia. Abbiamo abolito anche il 2+2. Clicchiamo Rec. e ciao. D’altra parte il cellulare siamo abituati a tenerlo in verticale, le persone in piedi sono verticali. D’altra parte molto spesso guardiamo i film a letto, sdraiati su un lato.

Non vi sentite dei coglioni? Cioè, diamine. Siamo nel 2015, dovrebbe essere scontato come l’alfabeto, come aprire la porta di casa. Filmare in verticale è come il “piuttosto che” usato a cazzo di cane, è l’abolizione del congiuntivo, sono i puntini al posto delle virgole. Ignorare la forma prima ancora della sostanza.

Mi rivolgo a voi, voi che ancora capite l’ovvio. Parlatene. Non lasciate che l’incuria invada il nostro quotidiano. In questo caso basta davvero poco. Basta una rotazione di 90 gradi.

“Ma non si possono girare? Sul telefonino si vedono bene. Col computer si può fare tutto.”

Ah, già, che sciocco.

 

VOLARE ALTO …per vedere l’uscita d’emergenza.

labirinti

“Vieni più vicino” Così ti diceva quel cartellone. “Da vicino si vede meglio.”

Vieni più vicino. Così vicino da confondere il battito del tuo cuore con il suo. Così vicino che non puoi sentire altro che il suo profumo.

Da vicino invece non si capiva nulla, non si capiva dove cominciavi tu e dove finivo io. Nemmeno con gli occhiali di quella pubblicità.

Non c’erano contorni, non c’erano forme, non c’erano strade da seguire. C’erano solo delle grandi chiazze di colore.

Da vicino non puoi guardare le cose grandi.

-Dici?

Dico che è così che funziona la pubblicità: ti fa innamorare delle cose piccole, che non ti servono, e ti racconta che tutto ciò di cui hai bisogno lo puoi avere senza allontanarti troppo. Cose piccole, che tieni nel palmo della tua mano e puoi guardare nella loro interezza, fino alla noia, fino alla prossima.

Poi alla fine chi può dirlo se una cosa è piccola o grande? È tutta una questione di prospettiva.

«Ma tu certezze non ne dai mai?»

– Come si fa a dare una cosa che non si possiede?

«Per questo le persone scappano quando ti incontrano.»

– Cioè?

«Resti lontano. Almeno un passo.»

– Da lontano si vede l’uscita d’emergenza.

 

 

è mesmo uma delicia
enveredar nos labirintos do amor
sem pressa, sem receios
e nos perder em devaneios

Regina Pessoa

 

Tip (virgolette) Alt + 0171 e Alt + 0187

 

VEGETARIANI VS SOCIAL: ISTRUZIONI PER L’USO

animalequals

Ci sono cose di cui non avrei mai voluto parlare, ci sono cose scomode ma necessarie. Poi ci sono cose completamente inutili, tipo parlare a chi non vuole ascoltarti, ma io ci proverò lo stesso.

Parlo a te, veg*(etari)*ano che stai sul social network. A te che ogni giorno devi spiegare che le uova e il pesce no, non sono verdura. Ti senti frustrato, emarginato, criticato. Lo so, il mondo è un brutto posto e ciò che non viene compreso viene sempre trattato con diffidenza. Ma forse non è tutto qui. Forse il tuo modo di porti genera reazioni peggiori di quelle che meriteresti. Caro amico veg*(etari)*ano, sei convinto che i tuoi amici non ti ascoltino, non ti capiscano e per questo ti deridano e sei arrivato a pensare che gli unici esseri umani in grado di capirti siano gli altri pappaverdura?  Non è detto che sia così. Forse hai sbagliato qualcosa nella comunicazione.

Per questo ho creato la seguente guida:

I 10 CONSIGLI PER ESSERE UN BUON VEGETARIANO SU FACEBOOK

1) Sii umile. È un errore comune a tutti, non vale solo per i veg*(etari)*ani, ma i pappaverdura sono convinti che la propria scelta sia quella giusta. Chi ha la verità in tasca non piace a nessuno. Ricordatelo quando parli con persone che hanno un’idea diversa dalla tua.

2) Evangelizzazione.  Siamo nel ventunesimo secolo e probabilmente sei ateo, puoi capirmi: ti piace quando i testimoni di geova bussano alla tua porta? Ti piace quando l’operatore del call center bulgaro di tele2 cerca di convincerti a cambiare compagnia telefonica? Se fossi musulmano ti piacerebbe che i cristiani cercassero di convincerti del fatto che la tua religione è quella sbagliata? Ecco, ricorda che la tua è una scelta personale e l’Italia è (almeno in teoria) un paese laico, quindi smettila di evangelizzare. Pubblicare quotidianamente post che terminano con “GO VEG”, per quanto ti possa sembrare la cosa giusta non ti renderà credibile, ti renderà un fanatico. Essere percepito come un fanatico toglierà forza alle tue idee.

3) facebook non è Rotten.com.  Non pubblicare foto macabre – In questo modo ti rendi odioso e invadi la libertà del prossimo. Chi vuole vedere animali squartati, teste mozzate, larve e ginocchia incancrenite va su rotten.com, non su facebook. È scientificamente provato che la pubblicazione di immagini scioccanti, per quanto possa avere un impatto efficace sul breve periodo, nel medio termine genera unicamente repulsione, non affiliazione.

4) Rispetta le scelte degli altri. Così come tu chiedi rispetto per le tue. Cerca di evitare di giudicare chi non la pensa come te. Appellativi come “mangiacadaveri”, “carnivori” e “bestie” “dovrebbero ammazzarvi tutti” non sono un buon punto di partenza per iniziare a ragionare.

5) Le basi scientifiche. La scelta vegana può essere accettata e apprezzata a livello etico, ma non cercare di addurre motivazioni scientifiche. L’attenzione che riponi nella tua alimentazione ti darà sicuri benefici, ma non fare il gioco delle tre carte: il solo fatto che tu debba stare molto attento a ciò che mangi per non incorrere in carenze e che debba prendere degli integratori renderà ridicola qualsiasi tesi tu esprima riguardo la valenza scientifica della tua scelta alimentare. No, i nostri antenati del paleocene non sono una buona motivazione.

6) Non condividere i post degli estremisti. Capisco che tu possa essere frustrato e che certe volte senta l’esigenza sfogarti, ma la disinformazione è sempre in agguato, e i nazianimalisti non sono una fonte autorevole. Dissociati dal “Fronte Animalista”. Condividere le immagini di conigli con la scabbia passandoli per animali maltrattati in laboratorio e vendere il diorama della prima scimmia mandata nello spazio come una scimmia viva torturata nei nostri laboratori ti rende complice del mondo brutto e ignorante che dici di combattere.

7) Rispetto per gli animali. Se è vero che la tua scelta è frutto di un percorso di rispetto delle altre specie animali, sappi che non è rispettoso imporla anche al tuo cane o al tuo gatto. Loro hanno bisogno della carne e della tua moda hipster del cazzo non gliene frega niente.

8) Non dire cazzate. Abbiamo smesso di credere a Babbo Natale da qualche annetto. Se hai scelto di non mangiare carne avrai le tue buone ragioni che io rispetterò. Non vuoi essere responsabile della morte di una mucca? Lo capisco. Non vuoi uccidere le paperelle e i coniglietti? Ci può stare. Però non venirmi a dire che chi è vegano salva il pianeta. Non ci credi nemmeno tu, dato che sei il più informato di tutti e guardi la gente con quella fierezza negli occhi che solo le persone di cultura possono permettersi. Sai benissimo che anche le colture intensive devastano il pianeta, così come l’uso dei carburanti fossili, le fabbriche che producono i componenti del tuo iphone etc etc. Se anche tutti diventassimo vegani il pianeta sarebbe esattamente in merda com’è oggi.

9) Coerenza. Se sei contro la ricerca scientifica, contro i farmaci testati in laboratorio e non arrivi ad accettare che a volte il compromesso sia una necessità e che se oggi sei qui a fare il messia del nuovo millennio è anche grazie ad anni di ricerca e sperimentazione, allora smetti di curarti coi farmaci creati grazie alla ricerca scientifica, smetti di prendere integratori, ammalati e muori.

10) La natura non è tenera. Usare delle vignette in cui gli animaletti sorridono non è “sensibilizzare l’opinione pubblica” è disinformazione. Gran parte degli animali sono esseri governati esclusivamente dagli istinti, e come naturale hanno anche comportamenti molto violenti. Stuprano, uccidono i cuccioli, emarginano i vecchi. Dire che “gli animali sono migliori dell’uomo” è una cazzata. Il fatto che il tuo cane non ti abbia abbandonato come l’ultima persona con cui avevi una relazione non fa del tuo animale da compagnia un essere migliore: piuttosto tu ti sei chiesto se sia giusto costringerlo a vivere con te in quell’appartamento di merda?

FACEBOOK TI AMA E CANCELLA I FAN FALSI: ma è davvero così?

loveyoumark

Dal 12 marzo il nostro amato social blu ha iniziato l’opera di scrematura dalla fuffa, ha iniziato cioè a eliminare gli “account inattivi”, dalle pagine. I profili falsi, i morti e gli account disattivati non verranno più conteggiati nel calderone dei like delle pagine.
Questa decisione -dicono da Menlo Park- è stata presa per garantire una maggiore qualità del servizio, dato che si suppone che i seguaci delle pagine fan siano veramente persone reali, e che voi non vogliate spendere migliaia di euro per far arrivare i vostri contenuti sulla bacheca di un utente che non apre facebook dal 2008, o peggio, che non esiste. Solo utenti reali quindi e non finti profili inattivi. Sulla carta, almeno.

Sarà veramente così?
Forse ricorderete che a suo tempo io ho gonfiato il contatore dei miei fan tramite pratiche non lecite acquistando 5000 fan per circa 5$ (ne parlavo qui) da un noto servizio (SeoClerks) che fornisce fuffa digitale a basso prezzo. L’ho fatto -con tutta evidenza- per capire come funzionasse il meccanismo. Il risultato è stato che la mia pagina fan è stata invasa in pochi giorni da migliaia di utenti provenienti da Bangladesh, Turchia e zone limitrofe. Veri o falsi? Non si sa. Di sicuro inutili. Ciò che però è interessante notare è che stando agli annunci di facebook avrei dovuto perderli più o meno tutti, invece di questi 5000, in questi giorni ne ho perso circa 400. 

Di sotto riporto il messaggio di “facebook for business”. Lo so, suona un po’ ironico.

“Whether you’re a public figure, media organization or other Page owner on Facebook, it’s important to understand who your followers are, what they care about, and what’s working for your audience.
To make audience data even more meaningful for Pages, we’re updating the way Page likes are counted by removing memorialized and voluntarily deactivated accounts from Pages’ like counts. This change ensures that data on Facebook is consistent and up-to-date”.

Dai messaggi di facebook non si capisce quale sia la posizione del social blu rispetto ai “bot”. Sono account inattivi? Non si sa. Quello che io so è che ho comprato 5000 fan falsi a 5 dollari e li ho ancora quasi tutti.

Chiunque amministri una pagina fan sa quanto facebook in questi anni si stia trasformando in una piattaforma di marketing,  in cui cacciare il grano è ormai obbligatorio se si vuole ottenere una degna visibilità. (ne ho parlato QUI). Alla luce dei fatti niente ci vieta di pensare che anche questa sia un’operazione di marketing, e che al grido di  “più trasparenza e professionalità” sulla piattaforma, il caro Mark e soci ce la stiano buttando nuovamente undercool, raccontandoci la favoletta e sussurrandoci all’orecchio che non farà male.

La realtà, a guardar bene non è così favolosa e anzi negli ultimi tempi i ragazzotti del social color puffo non vanno per il sottile e di sicuro non mettono in primo piano il benessere dei propri utenti, ma il loro profitto: regole ferree contro i trasgressori, vietati i nomi di fantasia, vietato usare il proprio account personale per sponsorizzare le attività lavorative. Chi usa facebook “per lavoro” deve avere una pagina, pena la cancellazione dal social: spesso e volentieri un atto d’ufficio, senza preavviso e irreversibile. Ma di questo parleremo nella prossima puntata.

L’insulto al semaforo: una battaglia di civiltà

L’insulto tra automobilisti è un’arte finissima, un’arte affinatasi nei decenni che, per risultare efficace richiede grande velocità di pensiero, brevità e targettizzazione del messaggio: l’unico scopo di un insulto, viene da sé, è fare male, e per fare male nel poco tempo a disposizione al volante è necessaria grande prontezza di riflessi e lucida analisi dell’avversario.

La sfida racchiusa nell’arte dell’insulto automobilistico è infatti quella di arrivare nel più breve tempo alla scelta di una corda che urti la sensibilità. Con un pelato sarà facile andare a segno con il più classico degli “o conch’e minca”.  A un ciccione si urlerà “o palladimmerda!”.

La letteratura in fatto di anziani è vasta, tutta la gamma di riferimenti alla demenza senile sarà ben accetta. Con l’extracomunitario, cinese, nero, rom, giapponese, arabo, tedesco, sarà sufficiente apporre il più classico dei “di merda” alla nazionalità dell’automobilista che non mancheremo di guardare con disprezzo dall’alto della nostra fiera italianità.

Più difficile sarà invece colpire l’uomo di etnia, peso e sembianze simili alle nostre, col quale comunque non sbaglieremo urlando “o calloni e impara a guidare!” Non sia mai che un maschio alfa non sappia condurre con maestria il suo rombante destriero.

Con la donna invece la questione è ben più spinosa, visto e considerato che è universalmente accettato che non sappia guidare; cosa fai allora? Panico. La analizzi: carina, ben vestita… Rossetto color carne.. Bingo! Ci siamo! Le urli “o brutta bagassa”.

Eh no.

Bagassa no.

Non puoi.

È sessismo.


 

La chiave di Volta.

Avete presente la chiave di volta?  La chiave di volta è quella pietra lavorata, solitamente a forma di cuneo, che serve per chiudere l’arco e mettere in atto le spinte di contrasto, è quella che sta al centro di un arco appunto, o di una volta: vi sarà capitato di vederne, (e mi si scusi il gioco di parole), soprattutto nelle costruzioni… di una volta.

Il punto, ad ogni modo, è che senza di lei l’arco non sta in piedi. Crolla.

È facile affezionarsi ad una pietra così, ed è affascinante il pensiero che quella piccola pietra, che sembra in equilibrio precario tra massi giganteschi, regga tutta la baracca. Dentro il proprio cuore ognuno di noi cova il desiderio di sentirsi una chiave di volta.

Sentirsi importanti, potenti, utili, indispensabili, è indubbiamente bello.

Ma da un grande potere derivano grandi responsabilità* (*fatevene una ragione, io sono un ignorante e non potendo citare Platone, cito l’uomo ragno), peccato che questa parte della responsabilità in molti la dimentichino in fretta, ma non prima di averci convinto del loro essere magnifiche chiavi di volta. Le più ben fatte di tutto il reame.

E così quando di punto in bianco ci accorgiamo di vivere sotto un arco, (non dico sotto un ponte, che sa troppo di presagio) di massi giganteschi la cui chiave di volta è fatta di gesso, l’unica è sperare che non piova.

Ma sai com’è, è inverno.

JU PENG E IL BEDSURFING VS IL GIORNALISMO ITALIANO SUL WEB: CHI È LA MIGNOTTA?

giornalismobarchette

Alla maggior parte di voi in questi giorni sarà capitato di leggere la storia di Ju Peng, avvenente 19enne cinese che vuole girare il mondo e offre una notte di sesso a chiunque sia disposto ad ospitarla.

“Sesso in cambio di ospitalità, blablabla, nuova pratica, blablabla bedsurfing blablabla” titolavano i nostri amati quotidiani qualche giorno fa, avendo cura però di precisare che no, trattasi non di volgare bagascia ma di nuova pratica che chiamasi “bedsurfing”. Nel suo annuncio (pubblicato su weibo, il twitter cinese) infatti la bedsurfer Ju Peng si riserva il diritto di scegliere: si farà ospitare solo da ragazzi belli, under30 e che non vivano coi genitori (quindi è già chiaro che in Italia non vuole venirci). She is “looking for temporary boyfriends who must be “good looking, under 30, taller than 1.75 metres and, of course, rich.” Pure alti li vuole. Noi sardi per un motivo o per l’altro siamo sempre discriminati.

Vabbé. Comunque… nonostante la giovine non voglia venire in Italia, l’Italia, ça va sans dire, terra del maschio vero, è però il luogo dove la notizia ha attecchito maggiormente.

Il Fatto Quotidiano (3 ore fa) è l’ultimo arrivato “Sesso in cambio di ospitalità”. Dalla cina la 19enne Ju Peng lancia il bedsurfing, ma la notizia è stata rimbalzata, negli ultimi 4 giorni, dalle maggiori testate italiane (Panorama, LiberoQuotidiano, Unione Sarda.it, il Messaggero, il Tempo, TgCom etc etc). Se cercate su google news “Ju Peng” potete verificare da soli. Da qualche giorno, per la precisione il 28 ottobre, data che coincide con la prima pubblicazione della notizia sulla stampa nostrana, è nata anche la pagina facebook di Ju Peng , pagina palesemente falsa in cui vengono ricicciate le stesse 4 foto che si trovano in giro per il web e si susseguono fiumi di commenti di maschi arrapati che lasciano in pubblico il proprio numero di cellulare. (annotateveli  e scriveteli nei bagni degli autogrill, vi prego).

Proprio la presenza ossessiva di quelle stesse quattro foto mi ha fatto subodorare la turbocazzata: “che sia una bufala?” Mi son chiesto. Così, stancamente, ho provato a fare il lavoro che dovrebbe fare qualsiasi giornalista. Ho inserito la foto su google immagini (lo sapete, vero, che inserendo una foto si possono cercare tutte le corrispondenze della stessa immagine sull’intero web? Vero che lo sapete?) e  … indovinate un po’?

(rullo di tamburi)

È una bufala! E attenzione, A T T E N Z I O N E… vi dirò di più:  nel resto del mondo lo sanno già. “Chinese girl offering sex to pay for travel is a hoax”  titolava il Telegraph DUE GIORNI FA. La bufala è stata infatti creata -come spesso accade di questi tempi- per promuovere un’applicazione per il telefonino che si chiama Youjia, una sorta di clone di Tinder. (Non sapete cos’è tinder? Leggete qui)

Per scoprirlo io ho impiegato ben 18 secondi, senza muovermi dalla mia scrivania. In Italia, invece, si continua a discutere sulla dubbia moralità della giovane cinese. In Italia, oggi, 1 novembre 2014, ci sono testate nazionali che continuano a proporci questa notizia come vera. Certo, direte voi, per scoprirlo c’è bisogno di essere dei grandi giornalisti… ah eh, e bisogna conoscere l’inglese.

E saper usare un motore di ricerca.

Non è da tutti, lo so.

Scusatemi se mi do delle arie, sono un ragazzo presuntuoso.

Quindi chi è la mignotta? Ju Peng o il giornalismo italiano? A voi le restanti considerazioni in merito.

Nella notte dell’informazione i giornalisti sono un faro… spento.

farospento

Quanta fiducia avete nei giornali? E nei giornalisti?

Poca. Lo so.

Lo sento nei discorsi al bar, lo vedo negli occhi delle persone quando dico che sono un giornalista.

Quand’ero bambino io i giornalisti erano visti con rispetto. Quello del giornalista era un lavoro ambito, prestigioso, uno di quelli che si dicono alle elementari quando ti chiedono cosa farai da grande. Un lavoro di responsabilità, apprezzato dalla gente. Poi qualcosa è cambiato. Oggi quando dici di essere un giornalista tante persone storcono il naso e ti guardano con sospetto, e con sospetto intendo dire schifo. Ci guardano come guardano i politici, solo che noi con quegli sguardi ci paghiamo a stento le bollette. Cos’è successo? Di chi è la colpa? Io non lo so, ma so che con internet è cambiato il rapporto tra informazione e lettori.

Oggi dopo aver letto l’ennesimo titolo “acchiappaclick” ho pensato che un portale di informazione che si rispetti dovrebbe innanzitutto garantire selezione, verifica e qualità delle notizie che contiene e non agire come un qualsiasi utente di facebook in preda alla smania di condivisione della prima stronzata virale che gli capiti a tiro.

Oggi, dopo aver letto l’ennesimo articolo spazzatura ho pensato che se viene a mancare il filtro, se viene a mancare il LAVORO del giornalista allora hanno ragione quelli che dicono che i giornalisti non hanno ragione di esistere.

Il giornalismo su internet si sta riducendo a un ridicolo lavoro di marketing, copywriting di bassa lega e copiaincolla alla ricerca della visualizzazione di pagina. Questo non è giornalismo. Se è vero che fare il giornalista è un lavoro, allora c’è bisogno di dimostrarlo e con scelte coraggiose e linee editoriali che restituiscano la dignità alle testate.

Ci dicono che il giornalismo è destinato a scomparire, e probabilmente è vero, ma nell’era di internet, nell’era in cui tutti hanno sempre meno tempo e sono sempre più sommersi dalle notizie, nell’era dei finti giornalidelbuongiornoebuonanotte.altervista.org io credo che questo lavoro sia quantomai necessario, a patto che sia fatto bene: ogni articolo spazzatura, ogni articolo “acchiappaclick” toglie valore a tutto un giornale. Una casa ben arredata con un divano di pelliccia fuxia al centro del salotto smette di essere una casa ben arredata.

Quando pubblicare spazzatura diventa la norma, significa che i giornalisti hanno smesso di fare il loro lavoro. Ok, certo, il problema sono le scelte editoriali delle testate, il problema è che c’è la rincorsa al click e alla visualizzazione di pagina. Ma chi ne pagherà le conseguenze? Mi spiego meglio: se una mattina 5 mila utenti condividono la notizia falsa della sesta stagione di Breaking Bad la colpa è degli utenti, ma se quella stessa notizia viene rilanciata dall’Ansa, Repubblica o dal Corriere, il problema diventa del giornalismo italiano che sta perdendo di vista l’obiettivo di questo lavoro, che non è competere con gli sparacazzate di internet, ma al contrario garantire che una testata abbia qualità e verità.

Se è vero che con Internet tutti possono contribuire a generare notizie è altrettanto vero che è impensabile supporre che ogni lettore abbia costantemente il dovere di verificare la veridicità di ciò che legge da fonti che dovrebbero essere attendibili. È assurdo che tutti debbano essere costretti investire parte del proprio tempo per fare anche un lavoro che non è il loro, eppure oggi è inevitabile; “con internet tutti dobbiamo essere un po’ giornalisti”. Perché? Chi l’ha deciso? Fare il giornalista è un lavoro difficile, richiede tempo, energie, cultura, intuito e visione d’insieme.
Vale più il counter degli accessi o la fiducia dei lettori? A cosa servono i giornalisti se i giornali perdono la fiducia dei lettori che devono imparare a difendersi da soli dal fiume di stronzate che girano su internet? Dov’è il faro nella notte? Chi ci impedirà di schiantarci sugli scogli se la norma diventerà pubblicare notizie false e poi smentite?

Una volta, a chi mi chiedeva “ma come faccio a sapere se una notizia è vera?” rispondevo “Fai attenzione alla fonte”.

Oggi cosa dovrei rispondere a chi mi dice che non legge più i giornali?

QUANDO MUOIONO GLI ATTORI… SU FACEBOOK

joeblack

Quando muoiono gli attori, su facebook non muoiono persone.

Muoiono ruoli.

Quando morirà Morgan Freeman scriverete che Dio è morto.

Quando morirà Massimo Ceccherini abbozzerete un timido “A me mi importa’na sega”, ritenendola forse una frase irrispettosa ma consci del fatto che sia l’unica citazione possibile.

Quando morirà Terence Hill dovreste teoricamente uscire a fare a pugni, ma citerete Don Matteo.

Quando morirà Christopher Lloyd scriverete “Grande giove!”, esclamazione che suo malgrado si porta dietro dal 1985 e che probabilmente non ha mai usato di sua sponte; oppure direte che non può morire perché Michael J.Fox lo salverà tornando indietro nel tempo.

Credo sia un tantino complicato maneggiare il plutonio per la DeLorean con il parkinson, ma lui ce la farà, perché -affrontuleggiu- nessuno può dargli del fifone.

Quando morirà Renato Pozzetto scriverete “Eh la Madonna!” che ci sta anche.

Quando moriranno quelli che nella loro carriera cinematografica hanno fatto solo ruoli malvagi scriverete “andate tutti all’inferno”, non sia mai che la memoria di uno psichiatra assassino che scuoia i cadaveri si confonda con quella di un amorevole padre di famiglia di nome William Parrish che affronta la morte per difendere la figlia.

FAN SU FACEBOOK: DOPARSI PER (NON) VINCERE

facebhulk

Ogni giorno mi arrivano talmente tante richieste che ormai non le guardo nemmeno più. “Metti mi piace sulla mia pagina! Dai! Aiutami a crescere!”

– A proposito, quanti fan ha la tua pagina? 6400.

– Pfui, dilettante! Io vado per i 24000.

È subito gara di piselli. Ho più fan di te e ciò significa che sono più importante, più interessante e persino più bello. Non sono io a dirlo, è facebook.

Quanto contano i fan nel mondo social? Tantissimo.

Il numero dei fan certifica che il tuo prodotto, la tua azienda, il tuo blog, la tua arte, il tuo cane, gode dell’apprezzamento del pubblico. Mica noccioline.

La popolarità del tuo marchio è un eccezionale lasciapassare per la gloria: ti permetterà di essere rispettato e ammirato dalla community.  Gasparri che irrideva i suoi interlocutori rei di avere solo 48 followers ci ha insegnato che in internet il nostro valore è dato non da ciò che diciamo ma da quanto seguito abbiamo.

E tutti gli abbiamo creduto.

Racimolare fan über alles – per far crescere il nostro giardino di seguaci, per essere importanti agli occhi di Gasparri siamo diventati esseri disposti a tutto. Non lo dico io, lo dice l’internet. Insomma, guardatevi attorno: potrete constatare facilmente quanto patetico pietire like ci sia in giro.

Ma perché è così importante avere i fan su facebook? Perché?

Perché i like portano i dindi. Sempre lì torniamo. In un mercato normale con regole normali avrebbe anche senso: più fan, più visibilità.

Peccato che avere molti fan non significhi che i tuoi contenuti arriveranno a tantissime persone. Da quando facebook ha introdotto la sponsorizzazione e i contenuti a pagamento, la visibilità della tua pagina è ridotta all’osso. E con ridotta all’osso intendo dire che se urli dalla finestra di casa forse raggiungi più persone. (Per approfondimenti leggi FACEBOOK PROMUOVIMI QUESTO!).

Inoltre i fan si possono comprare, e costano pure poco. Ebbene sì.

La brama di fan, followers e like è diventata un fenomeno talmente grande da far fiorire aziende dedicate: compagnie che si occupano esclusivamente di pimpare profili e accrescere il numero di seguaci virtuali.  A pagamento ovviamente.

Da SeoClerks ad esempio, (ma potete dare uno sguardo anche su Letusfollow.com e Growfollowers.com) potete comprare 20.000 fan per la modica cifra di 18 dollari americani. Volete 4000 follower su twitter? 15 dollari. Vi interessa apparire popolari su Instagram. Tranquilli, si può fare. Doping garantito e in pochi giorni il vostro account avrà migliaia di seguaci.

Ma è legale? È lecito? Chissenefotte. Internet è un mondo senza regole.

La scelta è  ampia: fan reali costano un po’ di più, ma se vi accontentate dei fan “fake”, creati da bot appositi (programmi che generano in automatico profili fasulli) i prezzi sono davvero stracciati.

L’ho provato anche io. 5000 fan per 5$. Funziona. Mica male, se pensate che per 5$ ho acquisito il diritto di dialogare alla pari con Gasparri.

Peccato che il doping abbia degli effetti collaterali. Ad esempio? Beh, se comprate troppi fan a caso potrebbe essere che qualcuno se ne accorga: nel mio caso ad esempio, ora la città in cui sono maggiormente popolare è Beirut. Nonostante io scriva più o meno in italiano. E nonostante io non sia mai stato a Beirut.

Quanto contano i numeri rispetto al reale engagement dei fan/follower? E se i valori sono dopabili, quanto vale il rapporto tra quantità e qualità? Forse è il caso di iniziare a chiederselo.

Ma no, ma chi se ne importa, tanto queste cose non le controlla nessuno.

Ciò che conta è che ora ho 15000 fan e quindi sono un figo.

P.s. Se vi piace l’argomento vi consiglio questo post dal titolo: Fake adv e fake fan nei social network: a chi servono davvero? 

NEVER FORGET ZANARDI – IL GIOCO DEL PLAID

 

Andrea Pazienza per sempre nei nostri… cuori.100-58e77e34db 101-f5970a7f09 102-ea46cfd5c1 103-0c39745d87 104-bccbdfe5b3

facebook: DIVIETO DI CAPEZZOLI

divetocapezzoli

“I contenuti presenti in quest’immagine sono vietati.”

Infatti voi non potete vederla. Pensate di vederla, ma non è così. È una proiezione generata della vostra mente, pervertiti che non siete altro.

Facebook applica una politica molto severa scema in materia di condivisione di contenuti pornografici e con riferimenti espliciti al sesso.

“Imponiamo anche delle limitazioni alla pubblicazione di immagini di nudità.

È nostra intenzione rispettare il diritto delle persone di condividere contenuti importanti per loro, siano essi fotografie di una scultura come il David di Michelangelo o foto di famiglia di una madre che allatta al seno il figlio.”

Ma capezzoli no. Capezzoli no anche se la foto è artistica. Capezzoli di donne no, assolutamente no. Sono vietate anche cose che sembrano capezzoli, tipo gomiti e punte di limoni colorate di rosa. I capezzoli sono il frutto del demonio. Se provate a mettere foto di capezzoli l’immagine verrà rimossa e vi vi bloccheranno l’account.*

A meno che non condividiate l’immagine da un link esterno.

In quel caso potete mettere tutto quello che volete: animali squartati, uomini morti, decomposizione, sesso, violenza e immagini esplicite di ogni sorta. Ebbene sì, persino i capezzoli.

Se anche voi trovate che la cosa non abbia senso, battetevi con noi: legalize it. Free nipple!

*aggiornamento: facebook ha di recente modificato la propria normativa in materia. Non saranno più vietate immagini di seni durante l’allattamento. In pratica basterà applicare un bambino sulle vostre foto e il gioco è fatto.

tette-bambini

Protetto: QUESTO POST HA LA PASSWORD

Il contenuto è protetto da password. Per visualizzarlo inserisci di seguito la password:

SHOGUN DE MURUROA

fiorisemaforo

Dallo specchietto vidi un ragazzo straniero che mi urlava contro, agitando le rose che teneva in mano… “Shogun de Mururoa! Shogun de Mururoa!”
Abbassai il finestrino:
“no grazie amico, non mi servono dei coltelli radioattivi” – gli risposi con un filo di ironia, cercando di tagliare corto.
“Shogun de mururoa!” – “Tu piano! Tu schiaccia!” continuò.
“Ma cosa sta dicendo?” – pensai, mentre lui continuava a urlare cose senza senso.
Scattò il verde e feci per partire quando un gaggio in scooter, passando a tottu pompa mi tagliò la strada.
“SU GUNN’E MAMMARUA!” gli urlai prontamente, allungando il palmo verso il cielo.

In quel momento capii.

Capii che anche se le cose sono chiare, a volte la gente riesce ad ascoltare solo la propria voce.

Fine.

P.s. Questo è il genere di cose che mi ritrovo a pensare di solito mentre faccio la doccia.
A volte rido da solo.
A volte rido da solo e penso di essere scemo.
A volte penso semplicemente di essere scemo.

DIALOGHI FUORI DI… ONDA – CON HERBERTSTENCIL.

Alcuni minuti di fuori… onda con Herbert Stencil, alcuni pezzi dal vivo e alcune divagazioni sul tema. L’eventuale presenza di linguaggio gratuitamente scurrile, imprecazioni contro divinità inesistenti e piacionerie di bassa lega sono da imputarsi all’autore di questo sito internet.

20130920_225600
[powerpress height=”80″ src=”https://www.nonmiricordo.com/files/fuoridionda-herbertstencil.mp3″]

 

Eccolo

Consigli da cogliere per diventare una persona positiva e amorevole nell’era dei social network.

Su facebook si vede sempre un sacco di gente triste. Gente che si lamenta per problemi amorosi, gente che si lamenta perché ha trovato un gattino e non riesce a farlo adottare, gente che si lamenta perché c’è gente che pubblica foto di gattini, gente che non ha un lavoro, gente che guadagna poco. Gente che si lamenta della politica, gente che si lamenta dell’antipolitica, gente che si lamenta della gente che non si lamenta della situazione politica. Lo so, è un mondo difficile; e in più la Sardegna è una terra arida di opportunità.
Ma ecco che attraverso un sito di training motivazionale ci viene in aiuto questo decalogo, un decalogo fico ma talmente fico che ha 15 punti e che si intitola:

15 cose che potete fare per cambiare la vostra prospettiva

1. CREDICI
Per diventare una persona positiva devi avere un forte desiderio di esserlo, e questo lo si ottiene solo se si è convinti che diventare una persona positiva migliorerà la qualità della vostra vita. La positività è come un’aura, e se inizi a sorridere un casino le persone inizieranno a fidarsi di te, persone a caso diventeranno gentili con te, i colleghi al lavoro rispetteranno la tua visione positiva. Non curarti di quegli strani gesti che fanno alle tue spalle, non stanno dicendo che sei imbecille, nemmeno che sei pazzo; vedrai che inizierai a legare e creare rapporti con facilità.

2. Credi in tutte le possibilità
Nessuno può dirti cosa puoi o non puoi fare. Quello che è possibile e quello che è impossibile. Non permettere alle tue convinzioni limitanti di tenerti bloccato nel posto sbagliato. Apri le tue ali e prendi il volo! Quando realizzerai che tutto è possibile, le porte dei limiti che sono state chiuse nella tua mente si apriranno collegandosi con tutti gli aspetti della coscienza; e potrai finalmente scegliere se fare l’operatore di call center o apprendere i principi della detergenza a stretto contatto col pavimento dell’atrio di un multisala.

3. Sii realista: Non cercare di diventare un santo
Diventare una persona positiva non vuol dire che non potrai mai avere qualche emozione negativa o imbatterti in una situazione negativa. È l’atteggiamento complessivo e la reazione ad ogni esperienza che conta. Non restare impantanato nel fallimento, e non deluderti se le tue aspettative non vengono soddisfatte. Devi renderti conto che tutto è al tuo servizio. Tutte le esperienze sono neutrali ed è la tua percezione di esse che crea la tua visione positiva o negativa. Gli accozzati nei posti di prestigio devono motivarti a fare di più. La macchina che passa accanto al marciapiede in una giornata di pioggia e genera uno tsunami che ti copre di fango è come una giornata in beautyfarm gratis.

4. Prova a valorizzare, piuttosto che criticare
Abbandona il tuo costante bisogno di lamentarti e criticare le persone, le situazioni o gli eventi che ti rendono triste, infelice o depresso. Nessuno può farti infelice, nessuna situazione può renderti triste o miserabile a meno che non sia tu a permetterlo. Mai sottovalutare il potere del pensiero positivo. In ogni occasione in cui senti il bisogno di criticare prova a sorridere e pensa che verrà un giorno in cui avrai un elicottero apache. Con 10 modelli di missili diversi.

5. Accettare la responsabilità
Il senso di colpa è un trucco della mente. Accetta la responsabilità per te stesso, per la tua vita e per le tue azioni. Tu solo sei in grado di risponderne. Sei adulto. Essere responsabile significa che lo sei per tutte le decisioni che prendi. L’hai fatto per una ragione: per imparare. Se tu che scegli di farlo; devi accettarne le conseguenze e capire che lo fai per una ragione, che il nostro avo Vlad ha tramandato nei secoli: per impalare. Se continui a sentirti in colpa non c’è problema. Smetti di impalare.

6. Comunicazione e linguaggio del corpo
Cerca di rendere parole positive parte del tuo gergo quotidiano e lavora sul tuo linguaggio corporeo in modo che possa essere amichevole ed accessibile. Guarda divertito qualcosa di divertente, ridi quando qualcosa fa ridere, complimentati quando serve e dai agli altri la possibilità di raccontare la loro versione dei fatti. Non pensare mai di essere l’unico interessante che c’è in giro. Non pensarlo, anche se sono tutti dei fottuti imbecilli. Ridi. Il prossimo passo sarà diventare uno dei teletubbies.

7. Sii te stesso
Sei unico. Goditi la tua unicità. Nessuno, in tutto il mondo è esattamente come te. Smettila di cercare in tutti i modi di essere qualcuno che non sei solo per farti accettare dagli altri. Gli altri sono dei coglioni. Nel momento in cui ti toglierai tutte le maschere useranno tutto quello che gli hai raccontato contro di te; ma non preoccuparti. Sorridi e vedrai che tutto andrà meglio e nel momento in cui impugnerai il tuo machete in una mano e una scure da taglialegna nell’altra accetterai tutti, senza sforzo.

8. Compagnia
Un modo di diventare positivi è quello di ricercare una compagnia positiva visto che sia la negatività e la positività sono infettive. Se per la maggior parte del tempo frequenti persone che sono scontrose o che hanno un punto di vista pessimistico vedrai che inavvertitamente rispecchierai le loro emozioni. Al fine di inculcare positività è importante che la gente che frequenti sia positiva, energica e felice. Guardare breaking bad potrebbe esserti d’ispirazione: cerca tra i tuoi scaffali il vecchio libro di chimica, rileggilo con avidità e inizia a cucinare metanfetamine per te e per i tuoi amici.

9. Pensa al presente
Il passato ed il futuro spesso ci portano su un percorso di tumulto emotivo. Spesso pensiamo che il passato era molto meglio e che il futuro sarà spaventoso, bisogna però prendere in considerazione il fatto che il momento presente è tutto quello che si ha e tutto quello che si potrà mai avere. Superato di slancio l’istintivo desiderio di impiccarti inizia a pensare che il passato che stai cercando – il passato che ora magari stai sognando – lo ignoravi quando era “il presente”. Smettila di illuderti. Chi visse sperando morì non si può dire. E dopo tutto la vita è un viaggio a senso solo senza ritorno se non in volo, senza fermate né confini. Cerca di avere una chiara visione del tuo futuro, che non esiste; preparati, e ricordati di essere presente al tuo presente, e non presentarti senza un presente alle numerose serate di presenzialisti alle quali verrai invitato. E’ importante che tu non ne perda una. Se risponderai sempre “presente!” sorridendo e pubblicando in tempo reale foto della serata in cui ti accompagni con scaldabagni apparecchiati, vedrai che la tua vita migliorerà.

10. Attività
Non essere poco attivo. Fai attività positive da solo o con altri. Si, l’hai capito, ti sto dicendo che devi coddare. O male che vada chi fa da se fa per tre. Non demordere e vedrai che prima o poi imparerai a cambiare mano e sarà tutta un’altra vita. Condividi questa tua attività con le ragazze su facebook e netlog; non aver timore di quei gruppi di esaltati tipo “io odio i maniaci di merda”. Sono dei frustrati senza uno scopo nella vita. Non precluderti nuove conoscenze per colpa loro, e anzi utilizza anche i nuovi strumenti che la tecnologia ti offre in dono, come google translate, per fare la conoscenza di belle ragazze che non parlano la tua lingua.

11. Prendetela con calma
La vita quotidiana è fatta per darti delle scosse. Sii preparato nel minimizzarne l’impatto e a scrollartele di dosso. Potresti per esempio diventare troppo stressato guidando ogni giorno nel traffico o cercando di parcheggiare l’auto. Nel momento in cui accetti che certi fatti non posso essere cambiati, sarai molto più a tuo agio con te stesso e con le persone che ti stanno attorno acquistando un bigfoot o un cingolato.

12. Aggiorna il tuo diario
Invece di raccontare tutto quello che ti accade, filtra solo gli avvenimenti positivi e prendine nota. Potrebbe essere una qualsiasi cosa, anche banale, da un autobus che arriva in orario, alla deliziosa colazione cucinata da tua madre, o al fatto di esserti ricordato di pagare le bollette in tempo. È quando cerchiamo la positività nelle piccole cose che ci rendiamo conto che vale la pena vivere, dove non lasciamo spazio per negatività. Condividi tutto su facebook e non preoccuparti, sono tutti interessati a sapere cos’hai mangiato a cena, a vedere il servizio fotografico a 360° delle tue nuove scarpe, a sapere che ti sei alzato, che respiri, che sei in fila alle poste e la signora affianco a te sta zaccando troddi a frago di pecorino al ritmo di seven nation army. Prova consapevolmente a fare questo per 10 giorni, alla fine del decimo giorno quando leggerai il tuo diario avrai solo i ricordi delle cose belle che ti sono accadute, nessun commento, e qualche amico in meno. Ma certe persone meglio perderle che trovarle.

13. Medita
Non solo meditare secerne ormoni della felicità ma ti crea anche un senso di consapevolezza interno. Imparerai a controllare il tuo respiro, e per mezzo di esso, anche il tuo sfintere. Ogni volta che si medita si sente un impulso di energia positiva che attraversa il corpo e calma i nervi, calma la mente, eleva l’umore, per non parlare poi del miglioramento del vostro livello di tolleranza.
Utilizza questa pratica quanto più ti aggrada, inspira dall’alto ed espira dal basso, profondamente e con gusto. Ma non coinvolgere altri in questa mistica attività. Ricordati che le scorregge, così come il jazz, piacciono solo a chi le fa.

14. Re-inventa il tuo bisogno di avere ragione
Molti di noi non sopportano l’idea di essere nel torto, vogliono sempre avere ragione, anche al rischio di troncare degli ottimi rapporti o di causare grandi quantità di stress e di dolore, sia a noi stessi che agli altri. Ci piace controbattere ad ogni costo anche quando siamo nel torto. Semplicemente non ne vale la pena perché l’essere nel giusto è del tutto soggettivo, con tanti strati di prospettive e verità. Fra l’altro riuscire in questa pratica richiede impegno, studio e informazione e in ogni caso esiste l’eventualità che il vostro interlocutore ne sappia più di voi e vi smerdi in scioltezza generando in voi un fastidioso senso di frustrazione che vi accompagnerà verosimilmente per tutta la giornata. Esistono inoltre dei personaggi detti “troll” la cui vita è ispirata dal demonio e che non vedono l’ora di infastidirvi con discorsi mirati a urtare la vostra sensibilità. Ogni volta che sentite l’urgente bisogno di entrare nel merito di chi ha ragione o torto, fatevi questa domanda: “Preferisco cercare di avere ragione, o mandarti subito a fanculo?”

15. Dite “grazie”
Ringraziate il cielo e i vostri genitori, i vostri amici e ringraziate voi stessi per tutto il duro lavoro che avete fatto, per tutto quello che avete raggiunto. Dire grazie spesso vi rende umili, e una persona umile raramente è cinica.
Per questo io concludo dicendovi grazie; grazie di esistere e per aver letto con cuore puro e fiducia queste mie istruzioni per una buona vita in questa difficile epoca dell’internet sociale.

Grazie.

Davvero.

[liberamente tratto, integrato e tradotto (molto liberamente) da Trueactivist.com]

Facebook ora è un ente pubblico. Uno zoo o qualcosa di simile.

scimmiapc

Avevo già scritto due righe in merito al disclaimer sulla privacy qualche mese fa. Noto però con piacere, per la gioia dell’istat e di tutti gli indicatori demografici che la mamma degli stolti è sempre bagassa, e in quanto tale, figlia. Succede così che a distanza di qualche mese dalla prima traduzione italiana ci ritroviamo con una versione integrata riveduta e corretta dell’onnipotente messaggio col quale ci possiamo difendere da facebook tutelando la nostra privacy e quella dei quintali di dati che fino ad oggi abbiamo riversato senza coscienza alcuna all’interno del social network blù. Questo magico messaggio sta ricominciando a girare su facebook proprio oggi 28 gennaio. (Ringraziamo per la segnalazione un’amica avvocatessa la quale garantisce: “è tutto vero, e funziona.”)

Ecco il testo del nuovo annuncio!

“Da oggi 28 gennaio dell’ anno 2013 essendo in perfetto stato delle mie facoltà mentali e come titolare di questo account in Facebook, dichiaro, alle parti interessate e in particolare per l’amministratore di società di Facebook, i miei diritti di autore sono collegati a tutte le mie informazioni personali, commenti, testi, articoli, illustrazioni, fumetti, quadri, foto e video professionali, etc.. (a seguito della convenzione Berner). Per uso commerciale degli articoli sopra menzionati, il mio consenso scritto sarà sempre necessario. Da questa affermazione, a Facebook è severamente vietato divulgare, copiare, distribuire, diffondere o eseguire qualsiasi altra azione contro di me basata su questo profilo o il tuo contenuto. Queste azioni proibite si applicano anche ai dipendenti, studenti, agenti o membri di qualsiasi squadra, sotto la direzione o il controllo di Facebook. Il contenuto di questo profilo sono informazioni private e riservate. La violazione della mia privacy può essere punita dalla legge (UCC 1-308 – 1 308 1-103 e lo statuto di Roma), in Brasile dal codice di protezione e tutela del consumatore (legge 8.078/90) e in Argentina dalla legge 26.388 del CCP.

Nota: Facebook ora è un ente pubblico. Tutti i membri sono incoraggiati a pubblicare una nota come questa; Se si preferisce, è possibile copiare e incollare questa versione. Se non la pubblichi almeno una volta, tacitamente si permette l’utilizzo di elementi quali foto, come pure le informazioni contenute nel tuo profilo e gli aggiornamenti di stato”.

Di seguito trovate il testo del vecchio post. Sempre attuale.

Ai miei tempi le catene di Sant’Antonio giravano via mail. Ai tempi di facebook, 10 anni dopo, girano via facebook.

Pensare che le persone smettano di pubblicarle, di crederci o che inizino ad avere voglia di informarsi prima di pubblicare appelli è pura utopia. Non è importante che la legge citata nel messaggio sia una legge americana, non è importante il contratto sottoscritto con facebook con cui si rinuncia di fatto alla proprietà di ciò che si carica all’interno del social network. Parte una catena e via, tutti giù, testa bassa e condividere. Combattere un fenomeno come questo sarebbe degno del miglior Don Chisciotte. Così, siccome non mi intendo di mulini e pale eoliche, ho deciso di seguire l’esempio di Maccio Capatonda ne “L’italiano medio”, di arrendermi e scrivere un messaggio anche io, messaggio che vi consiglio di pubblicare sulla vostra bacheca, per la vostra sicurezza s’intende.

IL MINISTRO DEGLI INTERNI HA CHIESTO (E OTTENUTO) L’ACCESSO A VOSTRA MAMMA SU FB. PER EVITARE DI AVERE UN FRATELLASTRO DA UN POLITICO VI CONSIGLIO DI FARE COPIA-INCOLLA SULLA VOSTRA PAGINA.

Dichiaro quanto segue: Qualsiasi persona o ente o agente o agenzia di qualsiasi GENERE , struttura governativa o privata, NON HANNO IL mio permesso (tranne su richiesta esplicita e con consenso mio personale) di fecondare mia mamma o qualsiasi parte del suo contenuto presente su facebook, comprese le foto; inoltre ci tengo a precisare che se nominate mia mamma vi scendo gente dai colli di San Michele, se mi state molto sul cazzo chiamo anche amici di Santuzza. Sono informato del fatto che a tali personaggi è strettamente proibito perdere in risse a colpi, craccate di mano, scazzottate multiple tagazzuè e tagazzuò. Quindi siete avvisati. Il contenuto di questo messaggio è privato e non dovete leggerlo. Se proprio dovete sbrigatevi, poi abbassate lo sguardo e state zitti. Le informazioni in esso contenute sono riservate ad un pubblico adulto. La violazione della mia privacy è punita con una pena che va da 1 a 3 anni di reclusione in via Schiavazzi.
Siccome sono troppo matto, per essere credibile ora vi cito una legge americana a caso: CC – 1 – 308 -1-103. Facebook è ora un’entità sovrannaturale quotata in borsa e in quanto entità sovrannaturale farà in modo che escano fantasmi e mostri tipo IT dagli scarichi del vostro bagno. PERTANTO PER LA VOSTRA PRIVACY VI CONSIGLIO DI ABBASSARE LA TAZZA DEL CESSO E DI TAPPARE IL LAVANDINO DOPO L’USO.
Siete tutti vivamente consigliati di frequentare un corso di italiano che vi permetta di scrivere un annuncio migliore di questo, o se preferite, copiate e incollate direttamente questa versione ma sappiate che come accadeva al liceo, se copiate senza cambiare le parole la maestra vi sbicca. Non pubblicare tale dichiarazione almeno una volta, permette indirettamente l’uso di oggetti quali anal intruder, frusta e zirogna di bue su di voi e sui vostri parenti. Immagini e informazioni contenuti nei vostri aggiornamenti di stato pubblici verranno sbagassati a manetta in tutta internet e se avete foto a tette fuori ci faremo fotomontaggi porno. Guardate che è vero!!!111

Mi raccomando lasciate anche gli 111 alla fine dei punti esclamativi. Sono fondamentali.

Se questo post diventerà famoso lo troverete nella sezione “antibufala” del sito  www.attivissimo.net,  il blog di un bravo giornalista, Paolo Attivissimo, che ormai da anni si spende ad indagare l’origine e i segreti delle migliaia di panzane che girano su internet. Salvaisì.

[Aggiornamento: con la nuova normativa che entrerà in vigore dal 1 gennaio 2015 ovviamente il post ha ripreso a girare. Come potete notare è praticamente lo stesso, hanno solo modificato la data.] Ecco il testo del “nuovo” annuncio. A causa del fatto che Facebook ha scelto di coinvolgere software che permetterà il furto delle mie informazioni, dichiaro che: In questa data del 29 novembre 2014, in risposta alle nuove linee guida di Facebook e di cui agli articoli L .111, 112 e 113 del Codice della Proprietà Intellettuale, dichiaro che i miei diritti sono attaccati a tutti i miei dati personali, disegni, dipinti, foto, testi, video ecc … postati sul mio profilo. Per l’uso commerciale di quanto sopra il mio consenso scritto è richiesto in ogni momento.
Chi legge questo testo può copiare / incollare sulla sua bacheca di Facebook. Questo permetterà loro di porsi sotto la protezione del diritto d’autore. Con questa affermazione, dico a Facebook che è vietato divulgare, copiare, distribuire, diffondere o intraprendere qualsiasi altra azione contro di me sulla base di questo profilo e/o il suo contenuto. Le misure di cui sopra si applicano anche ai dipendenti, studenti, agenti e qualsiasi altro personale o sotto la direzione di Facebook.
Il contenuto del mio profilo include informazioni private. La violazione della mia privacy è punibile per legge (UCC 1-308 1-308 1 -103 e dello Statuto di Roma). Facebook è ora un’entità quotata in borsa. Tutti i membri sono invitati a scrivere un commento di questo tipo, o se si preferisce, è possibile copiare e incollare questa versione. Se non hai rilasciato questa dichiarazione almeno una volta, è tacitamente consentito l’uso di elementi come le foto e le informazioni contenute nell’aggiornamento del profilo

FACEBOOK, PROMUOVI QUESTO

promuovi questo

Tutti i gestori di pagine fan si saranno accorti del vertiginoso calo di visite: tranquilli, non è colpa vostra, i vostri contenuti sono noioisi esattamente come prima. È però vero che facebook ha modificato (di nuovo!) le modalità di diffusione dei post pubblicati. In questo modo cerca di convincerti a pagare per aumentare i fan della tua pagina facebook, promettendoti una maggiore visibilità (che ti ha appena tolto) e che non avrai visto che il nuovo algoritmo recapita per impostazione predefinita i nuovi post al 2%-5% dei fan in maniera totalmente randomica.

Si, avete capito bene, al 2%. Facebook vi chiede di pagare per aumentare il numero dei fan della vostra pagina che però poi non potrete raggiungere coi post successivi.

Spinto da quale moto di folle sadomasochismo dovrei voler pagare per un servizio che volontariamente nasconde le notizie al 98% del mio pubblico?

Cosa mi sta vendendo facebook? La possibilità di creare un database di utenti interessati ai miei contenuti che verranno informati di ciò che faccio? NO. Uno spazio pubblicitario ottimizzato per raggiungere solo il target che mi interessa? NO. Facebook mi sta vendendo esclusivamente “i like.” Per tutto il resto dovrò pagare ogni volta. In pratica, il caro Mark mi sta vendendo una macchina sportiva, di quelle con con le fiamme aerografate sui lati, per andare a fare spacca al bar con gli amici: ho 30.000 like, sono un figo. Peccato che la macchina in questione sia senza benzina e senza motore, altrimenti un pensierino ce lo farei.

Questo meccanismo folle regge (ancora) perché inizialmente le pagine fan potevano effettivamente essere un buon veicolo di contenuti e un buon termometro per verificare il valore di un brand, e in molti, soprattutto nelle piccole realtà locali, continuano a usarli come misurino della popolarità.

Prima che facebook introducesse i contenuti sponsorizzati infatti, le pagine fan funzionavano senza filtri. Nessun algoritmo regolava la diffusione dei contenuti: se ti piaccio mi segui e verrai informato su ciò che faccio, se non ti piaccio non mi segui, mi blocchi e vaffanculo. Lineare.

Ora non è così. Le pagine fan sono scatole vuote, specchietti per le allodole.

Inoltre: se si paga per ottenere più fan, che valore hanno i “fan”? In altri termini: se il valore di una pagina fan è dato dal numero di mi piace e il numero di mi piace è direttamente proporzionale ai soldi che si investono per ottenere like allora per la proprietà transitiva il valore di una pagina fan è dato dai soldi che ci metti per comprarti i mi piace. E se i fan sono fan-sulli perché li hai comprati che senso ha calcolare il valore di una pagina in base al numero dei mi piace?

A voi la risposta.

Uelcom to fuffaland.

INTERNET PER ADULTI. (GUIDA PRATICA PER GENITORI ANALOGICI)

Adults_only

Ciao genitore! Hey! Tu che hai i figli alle elementari! (o alle medie, fa lo stesso). Insomma, tu che hai un figlio al quale hai appena comprato uno smartphone con-internet-incluso con la scusa che è l’unico modo che hai per controllarlo e proteggerlo. Volevo dirti che non hai capito un cazzo. Esatto, proprio così. Lo so, stai già pensando che ti sembro irrispettoso e che non posso capire “perché io non ho figli”. Ma io sono un figlio. E ho bisogno che mi dedichi un minuto del tuo tempo per parlarti di internet: lo so, tu sei nato senza www, senza http, senza email e senza facebook. E’ giusto che non ti piaccia, è comprensibile che lo disprezzi, che non lo capisca e che abbia diffidenza nei suoi riguardi. Ti capisco. Capisco che non ti piaccia internet perché quelle bollette del telefono da 700.000 lire le hai pagate tu. E ti capisco anche quando credi che ormai le flat abbiano risolto ogni problema. Ti capisco quando passi il tempo a condividere link su com’erano belli gli anni 80, su come ci si divertiva a giocare a nascondino, pincaro, a correre al sole. Ti capisco mentre giochi a farmville, a candy crush e quegli altri videogiochi da rincoglioniti studiati apposta per creare dipendenza. Ti capisco, perché io sono passato dal Nintendo 8 bit che aveva due tasti, al Super Nintendo che ne aveva 4 più L e R, dal Nintendo 64 alla Playstation che ne ha 240 più due analogici e insomma posso comprendere che iniziare da un mostro multitasti del genere possa essere complicato.

Ti capisco, quando passi il tempo a condividere link su facebook -esattamente come me-, per criticare un mondo troppo grande e nuovo che non capisci.

Ti capisco perché sono più vecchio dei tuoi figli ma più giovane di te, e negli anni 90 ho squagliato internet con l’entusiasmo di un adolescente, ma per mia fortuna non c’era l’adsl, c’era il modem lento che per caricare una pagina ci metteva 5 minuti (anche se l’U.S. robotics 56k v90 per noi era velocissimo) e ti occupava il telefono di casa e tua madre ti urlava contro dopo nemmeno 20 minuti di connessione, proprio al 3% dalla fine del download. E no, non c’era il resume.

Non c’erano i social network.

Internet era “difficile”, per questo era più facile evitare i problemi. Era un posto nuovo, e nonna ti diceva di stare attento, che “nel computer c’è il diavolo”, e tu un po’ ci credevi. Ora invece è tutto facile, e in internet ci sono tutti. C’è mamma, c’è papà, gli amici, zio, zia e anche il cane. Non lo guardi più con diffidenza, e per questo regali lo smartphone a tuo figlio di 8 anni, che smanetterà su internet come ho smanettato io appena ne ho avuto l’occasione.

MA c’è un ma da tenere bene a mente: se prima il web era un piccolo paesello di periferia mal collegato da poche strade di campagna, ora è una metropoli in diretta streaming in mondovisione 24 ore al giorno, e il cellulare che hai appena regalato a tuo figlio di 8 anni è il detonatore di una bomba atomica che sta sotto il tuo culo.

Tu daresti il detonatore di una bomba atomica a tuo figlio di otto anni perché così “nel caso in cui dei bulli lo aggrediscano può difendersi?” -Ovviamente no-. A meno che tu non sia un pazzo. Dicendo che gli compri lo smartphone perché “così sono più tranquillo e lui è più al sicuro, e almeno so dove si trova”, stai più o meno dicendo la stessa cosa. Perché di internet tu non sai un cazzo, e tuo figlio lo stai mandando al macello. Gli stai dando le chiavi per sputtanare tutta la sua vita online, con nome, cognome indirizzo e numero di telefono in bella vista. Gli stai dando una telecamera, gli stai dando YouTube. Prima di farlo, prova a capire a cosa devi prepararlo, tuo figlio: cerca “tacchi alti”, cerca “gemma del sud”. Cerca “forza chiara”. Sono migliaia gli esempi di filmati quantomeno imbarazzanti; filmati girati da ragazzini ignari, ingenui. Semplicemente ragazzini, messi davanti a un mondo che non potevano prevedere.  Alcuni di quei filmati risalgono alla fine degli anni ’90. E sono ancora lì.

La prima regola di internet è questa: qualsiasi cosa tu metta su internet, per quanto tu possa desiderare toglierla, per quanto ci provi, lì resterà. Per sempre.

Non voglio dirti come si educa un figlio, non lo so e non mi posso permettere di insegnarti niente a riguardo. Voglio solo dirti di imparare ad usare internet, seriamente però. Se non sai usare un torrent, se non sai impostare la privacy di facebook in modo che il tuo capo non veda le foto di quel weekend in cui eri sbronzo e gli hai pisciato sulla fiancata della macchina facendoti fotografare dai colleghi, se non conosci almeno cinque siti porno gratuiti che non ti installino 10 trojan appena ci entri, se non sai che cazzo sia un trojan, se non sai cosa sia un keylogger, non hai ancora gli strumenti per capirne le potenzialità e i rischi.

Insomma, genitore, io volevo dirti semplicemente di provare a capire, prima di lanciare tuo figlio in un mondo che ti è sconosciuto e che ti fa paura, ma dal quale non puoi scappare. Perché internet è una giungla ma tu non sei Tarzan, sei Cita.

Herbert Stencil e l’esistenzialismo. [download mp3 live]

“E’ possibile che un ingegnere si trasformi in una mucca con gli occhiali?

Come mai le tartarughe hanno il guscio mentre le donne hanno le tette? Se ad un incrocio vedete un semaforo rosso, vi chiedete mai perché nessuno ha deciso di dipingerlo di blu? Perché nelle pagine gialle i numeri telefonici non sono scritti in cinese? E’ mai possibile che ultimamente, tra tutti gli animali che popolano gli zoo, quello sulla bocca (e/o su altri cavi anatomici) della maggior parte degli italiani risponda al nome di Grillo?

Se volete la risposta a queste e ad altre 100 domande totalmente differenti, rivolgetevi a qualcun altro. Herbert Stencil si limiterà invece ad eseguire un concerto non-sense, urlare anatemi contro le pubbliche istituzioni e fare il cascamorto a tutto gas. Stencil heart mother™ è uno spettacolo pubblico. Ingresso riservato ai soli adulti. L’applicazione epidermica reiterata del “metodo Stencil” su donne non soddisfatte del proprio partner favorisce il ringiovanimento e l’ingresso nell’alta società metropolitana. Astenersi perdigiorno. Meno tasse, più donne naïves: il mio slogan dice così.”

H. Stencil

Tra le cose che è necessario diffondere in questo stupido mondo telematico vi è un personaggio inventato che prende il nome di Herbert Stencil.

In quanto personaggio inventato egli non esiste, ma io l’ho incontrato lo stesso un giorno che non mi ricordo ma al quale sono potuto risalire grazie a google che mi ha detto che fosse il 4 Febbraio 2012 al The Cube.

Non è che google mi spii, più semplicemente quel giorno c’era il concerto de I Cani, gruppo indie-rock? (a giudicare dagli occhiali lo erano) passato agli onori della cronaca per la canzone “Le Coppie” (cliccando sul link potete ascoltare un live@tropical pizza) che infatti era l’unico motivo per cui mi trovavo lì. Non è vero, l’unico motivo era andare a bere, cosa che -fra l’altro- non ho potuto fare perché le 0,20 di birra costavano 4 euro e la cosa mi inibiva.

Quella sera io la ricordo bene per due motivi: il primo è che, costretto dagli eventi, ho passato tutto il concerto attaccato alla cassa sinistra del palco. Questa sistemazione ha generato in me tante vibranti emozioni, ma soprattutto ha moltiplicato in maniera esponenziale la presenza di acufeni (di cui parlo in questo post) all’interno del mio orecchio/cervello. Il secondo motivo, che poi è la causa di questo articolo è che quel giorno ho conosciuto Herbert Stencil. Egli era al seguito di due piacenti amiche, le quali solleticavano i nostri più bassi interessi ma che , come da copione, non ci si filavano e pertanto ci costringevano a dedicarci all’alcolismo e ad altre pratiche di distrazione, come ad esempio fissare la luce di un proiettore con devozione e per diversi minuti.

Insomma tutto questo pippotto di informazioni inutili per dire che in questa pagina potrete scaricare il live! tenutosi il 16 marzo 2013 al Covo Art Cafè, a Cagliari.

E metto anche un video:

Addio Iva, la Sardegna in festa

 

Addio Iva, la sardegna in festa

La notizia è di quelle che fanno scalpore e migliaia di siti internet rimbalzano le dichiarazioni della nota conduttrice televisiva. Forse ci sarebbe da dispiacersi, forse ci sarebbe da riflettere ma i sardi festeggiano. Iva Zanicchi se ne va dalla Sardegna. Giunta in vacanza, ma non per questo inoperosa sul fronte delle iniziative propagandistiche, visti gli scarsi risultati ha optato per una scelta forte, di quelle che fanno rumore. Niente più Iva in Sardegna quindi, o almeno così pare a quanto si legge dalle dichiarazioni sul suo profilo twitter. Ma statene certi: sentiremo nuovamente parlare di lei entro il 30 giugno di quest’anno.

Sempre che la comunità europea non confermi prima che OK, il prezzo è giusto.

ELEZIONI 2013: FASSINO BEST EPIC FAIL.

Le ultime parole famose.

 

 

 

 

 

 

Vediamo quanti voti prende… e perché non lo fa?

Ricordati di leccarla se vuoi che sia indelebile.

Il consiglio di Rocco vale sempre. Quando vai a votare, ricordati che l’unico modo per rendere indelebile il tratto della tua matita è leccarla in punta.  Non preoccuparti dell’eventualità che prima di te l’abbiano già leccata in tanti, anzi gioisci dell’opportunità. Sono anticorpi. Anticorpi gratis.

Consigli per il voto #elezioni2013 – #erezioni2013

Devi leccarla se vuoi che sia indelebile.

Odio i film in lingua originale.

logomoviereading

La moda del momento è il film in lingua originale.

Chiariamolo subito: io li odio.

Mischini, in realtà loro non mi hanno fatto niente. Odio chi vuole insistentemente portarmi a vederli. Anzi, non è nemmeno vero questo; odio il fatto che ci sia gente che vuole andare a fare una cosa potenzialmente bella con me, ben sapendo che mi fa schifo. Un po’ come essere invitato a un pranzo con birre analcoliche.

Io esigo la libertà di utilizzare la vista per guardare il film e le orecchie per ascoltarlo.
Certo, se capissi alla perfezione la lingua originale, ivi comprese battute sottili e sfumature gergali, sicuramente mi piacerebbero, i film in lingua originale.

Che poi, a chi volete darla a bere? State andando a leggere sottotitoli. No, cari miei, non mi fregherete. Passare una serata a leggere un film, a me, fa cagare.

Non vedo ragione per cui, da essere umano dotato di udito e vista, io debba sovraccaricare il canale video anche con l’audio.
Per me è sprecare ore di vita, leggere un film.
A me, un film, piace GUARDARLO. MENTRE. LO ASCOLTO. E, dovendo scegliere, data la mia non eccelsa confidenza con la lingua straniera, accetto di buon grado una voce diversa (o uguale, a seconda del vostro punto di vista) se questo significa potermi perdere tra i volti, le espressioni e i paesaggi. Insomma poter sprofondare in un mondo parallelo per qualche ora.

Scrivo questo post per chiarire una volta per tutte la mia posizione in merito all’argomento. Da oggi a chi mi farà pipponi lunari sulla bellezza dei film in lingua originale darò questo link dicendo: -Tieni, leggi, e nel mentre guardati un video su youtube. Visto che ti piace tanto.-
Non dico che sia una moda, ma lo penso. Magari non per tutti, certo. Ci sarà come per tutte le cose una percentuale di persone normali che regge la coerenza di tutta la baracca. Però mi sta sul cazzo lo stesso. Trovo abbastanza ridicola questa corsa al film in lingua originale, mitizzata come alba di una nuova era senza cui non si può vivere. Lo so che è colpa delle serietv americane. Delle serie tv americane e di internet. Di torrent. Non siete dei cultori, dei puristi del cinema, siete dei drogati nerd di merda. Come me. Ma io non guardo i film in lingua originale.
Vi meritate carrozzine sottotitolate che cadono da scalinate lunghe 6 ore.

[un ringraziamento affettuoso a quella di questo blog (la Luisona e la Madeleine) che ha ispirato questo post.]

Il valore del silenzio.

silenzioshhh

Ci sono momenti e luoghi che si possono descrivere solo così.
Col silenzio.
Il cervello si apre e i pensieri scorrono, muti anche loro.
Sovrappensiero.
Così si chiama.

Sovrappensiero è una parola che a fermarcisi ha qualcosa di magico, come iperuranio o ultrasuoni. Sovrappensiero è più in alto del pensiero, a guardare cose più nobili, a guardarle da lontano, senza troppa né poca emozione: a volte è proprio a questo che serve il silenzio, a volte invece è solo noia e scimmie che si spulciano. D’altra parte non c’è un modo giusto o un modo sbagliato, col proprio silenzio ognuno è libero di fare ciò che vuole.

Io però non sono più libero: un acufene qualche anno fa è venuto a farmi visita e me l’ha tolto per sempre. Era il 9 giugno ’08. A me piaceva molto il silenzio. E mi sono sempre piaciute le persone che non si trovano a disagio quando c’è, e non fanno sentire te, a disagio.

Io, il silenzio, non lo posso più sentire: sento un fiiiiiiiiiiiiiiii a 8000 hertz. Ventiquattrorealgiorno.

Ma voi fortunati, voi che potete sentirlo, ricordatevi della sua esistenza. Voi che avete sempre un’opinione che ci si mette più tempo a dirla che a formarla, voi che sul social network pubblicate a raffica qualsiasi cosa, voi che scegliete di non scegliere perché l’importante è fare rumore, voi che urlate e ululate pubblicando foto di cani squartati, gatti impiccati, bambini bruciati e uomini mutilati, vecchi uccisi e umiliati. Voi che fate girare catene di sant’Antonio, appelli strappalacrime di bambini malati che ora (ammesso che esistano) sono maggiorenni, rinunciate a quel secondo in cui vi sentite migliori per restituire loro la dignità di un rispettoso silenzio.

Non è col volume che si riesce a dar voce alla propria anima. Non mi interessa il vostro senso di colpa da placare, non mi interessa che non capiate che la libertà di parola ha la stessa importanza dell’opportunità di stare zitti o crediate di non far danno ripetendo tutto a voce alta come pappagalli decerebrati.

Voi che avete paura di ascoltare il silenzio dentro la vostra testa fermatevi a oliare gli ingranaggi e fate ripartire il tic tac.

Cercate di capire con gli occhi aperti anche se vi viene più facile credere ad occhi chiusi.

Cercate di essere qualcosa prima di voler manifestare a tutti i costi la vostra impellente esigenza di apparire.

Cercate di ascoltare, di ascoltarvi. Smettete di correre e cliccare a vuoto e imparate a scegliere quando è il momento di parlare. Nessuno ci ascolterà più, nessuno ci capirà o vorrà capirci se pensiamo di avere sempre il diritto di urlare: l’unica cosa che produrremo sarà una versione sporca del silenzio. L’unica cosa che otterremo sarà generare assuefazione e indifferenza: come il mio acufene, che dopo un po’, anche se c’è sempre, smetti di sentirlo.

E mò chi cazzo voto? Guida lisergica per indecisi.

Sulla mia bacheca di facebook va oggi in onda: paranoie elettorali. Sottotitolo: preoccuparsi in maniera compulsiva degli altri per evitare di guardare la merda in casa propria.

La giornata parte bene e in home page trovo subito Gad Lerner che abbandona per una volta la sua proverbiale faziosità decidendo di spendere alcune oneste parole in favore di Beppe Grillo. Si è detto fino ad ora che i candidati del m5s fossero degli emeriti sconosciuti ma a me questi nella foto sembra di conoscerli tutti, da sempre. Ce l’hanno duro questi candidati, soprattutto Peppe Fetish, ma anche Giuseppe Simone ha dimostrato di avere del potenziale. Trovo però un po’ qualunquista frullare assieme gli elettori e i candidati. Insomma che Flavia Vento voti Grillo non toglie e non aggiunge niente alla forza del movimento 5 stelle che finalmente ci libererà dalle scie chimiche e ci farà accedere alla nuova era del pleonastico in cui uno vale uno e non ci sono più le mezze stagioni di una volta.

 

Grillo è un genio del marketing e il fatto che riesca a dire ciò che la ggente (quella con due g) vuole sentirsi dire è un problema per chi non ci riesce.

Prima di considerare lui (non chi lo vota) un quaquaraquà non dimentichiamo che in tempi non sospetti il comico genovese denunciò cose che gli umani non potevano (ancora) immaginare come gli imminenti scandali di Parmalat, Bond argentini e tangentopoli. Verità scomode che nessuno osava dire e di cui bisogna dargli merito. Per questo gli fu precluso l’accesso alla tv pubblica e non certo per mancanza di share. Il fantasma del fascismo resta senza dubbio un valido motivo di preoccupazione ma certe volte è un po’ troppo radicato negli occhi di chi guarda.

I tanti consensi raccolti dal m5s possono avere comunque un risvolto interessante nel processo di rinnovamento della nostra classe politica e forse riusciranno a porre degli interrogativi all’interno della dirigenza di alcuni partiti riguardo la necessità di dare spazio alle seconde linee fatte di persone giovani e capaci che ancora credono in un futuro coraggioso.

Avete indovinato, stavo parlando del PD.

Quel PD che si concede gli ultimi scivoloni di una campagna elettorale basata sulle figure di merda e che meritava di essere conclusa col botto. Spinte dalla consueta pavidità e temendo di fare un passo falso, le alte sfere del partito finiscono per mangiare la banana con la buccia riuscendo comunque a scivolarci sopra grazie alla forza dei contenuti unita alla potenza dei propri correttori di bozze che evidentemente usano il notepad e una tastiera con layout straniero per redigere i testi. D’altronde il masochismo è un’arte, non si improvvisa.  Tentativo maldestro con “Lo smacchiamo” (che Freddie li perdoni) battuto al fotofinish da una lettera scritta da chi vuole a tutti i costi emulare le gesta del nostro caro Comunardo Niccolai.

Lettera che riscuote comunque un discreto successo tra gli internauti così come la sua correzione, condivisa dagli elettori di destra di sinistra e di nonsodovesonomessoperòSVEGLIA!!!11!! Riscuote talmente tanto successo da essere utilizzata (ho detto utilizzata? volevo dire strumentalizzata) anche da un tifoso del mummificato tascabile.

Costui, (che non nomineremo) forse responsabilizzato dal peso del villoso cognome, decide di prelevare alla chetichella la foto che segue e a ripubblicarla sulla propria bacheca prendendosene i meriti riuscendo così con grande ironia ad offrire un momento amarcord che ci riporta indietro al glorioso periodo in cui le province sarde erano 11. D’altra parte se all’interno del Partito Dei Ladri non dimostri di saper rubare con nonchalance perdi punti simpatia.

La sequenza “Monti Fini Casini” dovrebbe già bastare a definire il buon gusto e la compostezza della gente che ruota attorno alla lista per l’Italia. I volgari baccanali noi li lasciamo a Berlusconi. Qua si fanno cose di classe. I montatori di eleganti bordelli infatti non fanno rumore su facebook incarnando la filosofia per cui panni sporchi vanno lavati in casa, rigorosamente dalla servitù filippina.

Se non avete ancora smesso di leggere, è probabile che non facciate parte di quel 50% di analfabeti di ritorno ed è altrettanto plausibile che a questo punto vi stiate chiedendo quali siano dunque le mie indicazioni di voto. Questa, almeno così sembrerebbe dal titolo, doveva essere una guida per indecisi.

Quello che mi sento di dire in realtà è ben poco rispetto a ciò che potete vedere quotidianamente coi vostri occhi.

Vi sarete accorti che in tanti non sono altro che venditori di fumo, vi prometteranno la luna e forse ve la regaleranno (che tanto manco è loro) e non dovrete preoccuparvi se per l’astronave si dovrà pagare un piccolissimo contributo spese. Ma tra questi venditori di fumo  c’è chi vorrebbe venderlo sul serio il fumo e combatte da anni per questo. Io credo che voterò loro. Perché alla fine mi sa che l’unica soluzione concreta e attuabile per guardare al futuro di questo paese con il sorriso è iniziare a farsi le canne.

COME RIMUOVERE LA NUOVA VERSIONE DI FACEBOOK CHE STA PER USCIRE

panico-fry-social

Cari amici di facebook, lo so. Lo so. Avete letto il titolo e state già facendo iperventilazione con la vostra amata busta di carta. Ebbene si: quei bontemponi di facebook hanno deciso di cambiare nuovamente l’interfaccia grafica. Assisteremo come di consueto a scene di panico collettivo, orde di internauti disperati, filippiche di giorni contro Zuckerberg e il suo reiterato sadismo nel volervi spostare i bottoni.  Nuovi virus verranno diffusi all’interno dei vostri account, perché gli anni passano ma continuerete a credere per sempre che ci sia un “modo per tornare alla vecchia versione*” (SINCE 1994) e cliccherete su compulsivamente su qualsiasi sito ve lo prometta. Rassegnatevi. Davvero. Non si può tornare alla vecchia versione. E se fare iperventilazione con la busta di cartone non funziona procuratevene una di plastica, inserite la testa al suo interno  e stringetevela forte attorno al collo. Potete anche farvi aiutare da un amico. Se invece non volete contribuire all’eugenetica potete continuare a leggere.

DON’T PANIC. C’è una buona notizia.

Il passaggio al nuovo layout avverrà gradualmente nelle prossime settimane, sia sul web sia sui dispositivi mobili.

Come sapete facebook sta perdendo valore in borsa, e questa volta gli sviluppatori di Palo Alto hanno deciso di dare l’opportunità a tutti quelli che lo volessero di mantenere il proprio profilo senza passare alla nuova interfaccia.

La richiesta però deve essere fatta prima che inizi la distribuzione del nuovo profilo. In molti stanno già facendo la richiesta, tanto che esiste già una lista d’attesa.

Per praticità, e, (non lo nego) nella speranza che almeno questa volta non mi sfracelliate il cervello del basso ventre con le vostre disperate richieste di aiuto, vi allego (è qui sotto) il bottone per iscriversi alla lista d’attesa.

Cliccate su “Iscriviti alla lista d’attesa” e conserverete il vostro amato profilo.

Ciao e arrivederci.

 

Chiedi a facebook di NON aggiornare il tuo profilo al nuovo layout

 

 

 

Se preferite potete anche recarvi su  www.facebook.com/newsfeed

 

 

 

 

*funziona!!!

 

Sitting on the dock of PD. (aspettando il più classico degli harakiri)

Intanto, sulla riva del fiume:


“Portiamo l’acqua al nostro mulino, presto!”

“Ma la ruota del mulino sta crollando, non reggerà!”

“Non mi importa! Se non la usiamo noi la userà il vicino che ha il mulino più a valle.”

“ma è tuo fratello! e poi l’acqua scenderà comunque”

“fandonie, non abbiamo mai fatto l’esame del dna. E va bene l’acqua scenderà comunque, ma la rallenteremo”

“ma.. ma.. ?!”

E fu così che la ruota si ruppe, e scorrendo insieme al fiume ruppe anche quella del mulino del fratello poco più a valle.

Fine.

La silent hill delle pecore. (asini con l’iphone)

P.S. quello che segue è il solito post di sfogo il cui unico scopo è consentirmi di non andare dallo psicanalista.

Pecore che vagano per una collina immersa nella nebbia, questo siamo. Te ne rendi conto quando vedi costantemente persone che fanno la finanziaria per comprarsi lo smartphone. E non puoi evitare di incazzarti.

Non puoi.

“Tutti abbiamo diritto ai nostri piccoli sfizi.” Se mentre leggi l’hai pensato, vaffanculo.

Davvero. Vaffanculo.

E’ in questi momenti che capisci che non ha senso dire roba sensata. Ha senso solo dire vaffanculo.
Piano piano ti rendi conto che è tutta fatica sprecata.
Non ha senso cercare di fare le cose per bene. Diffondere cultura. Amore per la verità. Per ogni Uomo che nasce (di quelli con la U grande) ci sono comunque 10 stronzi.
La maggioranza vince, a che gioco vuoi giocare? Questa è la democrazia.
E il tuo voto vale uno, che tu abbia ragione non importa. Ciò che importa è che tu sia convincente perché alla fine sarà il gregge a decidere.

Lo so, non sto dicendo niente di nuovo, cose come questa le hanno dette in tanti prima di me, e molto meglio. Ma io così mi risparmio una seduta dallo psicanalista.

Non ha senso cercare di farsi largo con la sincerità, con il dibattito, cercando di diffondere delle idee complesse. Non ha senso perché la visione d’insieme non interessa a nessuno. a tanta gente. (meno manicheo, so che puoi farcela)
Parla con le persone e cerca di trovare delle briciole di altruismo. Lo trovi? Certo!!! Siamo tutti altruisti. L’altruismo trova spazio nella stragrande maggioranza delle persone solo quando non implica la minima rinuncia. E’ un vanto gratuito.

In questi momenti capisci Berlusconi. E per un momento gli dai pure ragione. Che senso ha essere altruisti in un mondo di stronzi che si comprano l’iPOD a rate perché la radio da 2 euro che trovi nel Dixan è da barboni e il lettore mp3 -che hai già nello smartphone- mica puoi usarlo, non va bene se no ti finisce subito la batteria e poi l’audio dell’ipod è molto migliore.

In questi momenti capisci Berlusconi. Capisci anche Nerone.

Capisci la sua visione dell’Italia: capisci che tanto i numeri si raggiungono con gli slogan. Con le favole. Lo capisci perché viviamo in mezzo a persone che davanti a un testo di 10 righe ammettono candidamente “Ma che sei fuori? Troppo lunga questa roba, fammi il riassunto”. Lo capisci dal fatto che se scrivi una coglionata qualsiasi sul calcio ti arrivano subito 345 mi piace e 600 commenti, ma se discuti di legalizzazione o depenalizzazione delle droghe ti rispondono solo quei quattro stronzi di amici che fumano, e solo per difendere il proprio diritto a coltivarsi le piantine in terrazzo senza patemi d’animo. Ma di discutere riguardo le carceri sovraffollate, famiglie distrutte e introiti della malavita non frega a nessuno. Anzi guai a parlarne di questi temi, che poi la gente del mio paese penserà che mi voglio fare le canne. Capisci che se sei davanti a un gregge di pecore non ha senso parlare di filosofia, di etica.
Devi belare.

Pane e figa per tutti. Beeeeh.

Non funziona più? Certo che non funziona più, siamo pecore mica Homer.
Pane e figa l’ha già detto il Berlusca, mica ci ricasco. Adesso funziona parlare di articolo 18, funziona punire la casta, funziona tassare il vicino con il suv, funziona la caccia alle streghe a notai, avvocati, giornalisti e politici. Ma non è forse belare anche questo? Far passare il concetto che la soluzione stia in quelle poche cose che non riguardano la maggior parte di noi, in modo che la maggior parte – sapendo di non dover muovere un dito – ti dia ragione?
Così ha fatto Berlusconi nel ’94. Ci ha detto che ci pensava lui, che le risorse c’erano, che era capace e avrebbe sistemato tutto. Nessun dovere da parte nostra, nessuno sforzo.
Silent Hill era un gioco che faceva cagare addosso, non siamo tutti eroi e camminare da soli nella nebbia fa paura. Pure io ho paura del buio e al cinema quando ci sono i trailer dei film horror chiudo gli occhi mi tappo le orecchie e faccio lalalallalaà finché non finiscono.

Ghe penso mì!

E invece non ci deve pensare lui. Ci dovete pensare voi, ogni giorno, a quello che fanno gli altri e a quello che fate voi:perché se comprate l’iphone a vostro figlio mentre siete in cassa integrazione state crescendo un figlio di merda. Se vi lamentate con il maestro se vi boccia il figlio perché è una capra invece di tornare a casa e calpestargli l’xbox a piedi uniti siete i primi a contribuire al fiorire di un paese di merda. Non mi interessa se lo fate perché gli volete bene. State crescendo un idiota viziato che pensa che tutto gli sia dovuto. State crescendo uno che quando a lavoro ci sarà da stare mezz’ora in più se ne andrà a casa perché il suo orario era finito, e chi se ne fotte se i miei colleghi sono nella merda. State crescendo uno dei tanti che non capirà l’amore per la fatica, per la conquista, il concetto di dignità e di orgoglio. Uno con cui non ha senso stare a discutere. Una di quelle persone che vede solo la sua immagine allo specchio. Uno di quelli che sai già che l’unica cosa che ha senso è raccontargli quello che vogliono sentirsi dire e poi farsi beatamente i cazzi propri. Uno che se gli dici che qualche cosa non va scappa, non ti sente, o pensa che tu sia stato cattivo con lui.

Le pecore vivono in un gregge ma sono individualiste. Belano tutte insieme, ma se arriva il lupo e ne attacca una le altre scappano.
Certo è la loro natura. Il gregge funziona così.
Ma io non sto parlando alle pecore.

Le pecore non sanno leggere.

Conosci il tuo amico: (sottotitolo) facebook e l’informazione in Sardegna

Come molti dei miei (pochi) seguaci sanno, questo è un blog personale, creato principalmente per giocare con la grafica, apprendere i misteri di wordpress, sfogare frustrazioni onde evitare ben più costosi rapporti con lo psicologo e, non ultimo, avere una spiritosissima email che finisce per @nonmiricordo.com

Chi di voi sia quindi facile all’ira, al giudizio affrettato o alla caccia alle streghe si limiti pertanto a considerare ciò che segue per quello che è: un modo alternativo per giocare con facebook.

Premessa doverosa questa per passare al tema del giorno: dare uno sguardo alla propensione all’informazione online attraverso l’analisi dei miei amici di facebook. Quello che ho fatto, in questa ridente mattina novembrina, è stato semplicemente recarmi sulla pagina facebook dei più noti quotidiani online sardi, spinto dalla curiosità di sapere quanti -tra i miei contatti- si informassero attraverso questo canale.

Io ho trent’anni, vengo da una famiglia medio borghese, ho fatto il liceo scientifico, mi sono iscritto in ingegneria elettronica, sono laureato (in lingue) e lavoro (lavoro?) nell’informazione, le mie misure sono 90 60 90, voglio la pace nel mondo, siete bellissimi, e smonto computer per rilassarmi. Lo so che non vi interessa, ma serve a farvi capire il target dei miei contatti, (poco più di 600) il 99% dei quali conosco personalmente.

MA PASSIAMO AI FATTI.

Ciò che scaturisce è (per me) senz’altro interessante e anzi invito voi stessi a verificare la situazione del vostro parco amici cliccando su questi comodi link che seguono.

 

   

Radio Press https://www.facebook.com/pages/Radio-Press/38663164780

(OLTRE VENTITREMILA FAN. 143 persone tra i miei contatti la seguono. La metà (manco a dirlo) sono giornalisti e/o persone che lavorano nel mondo dell’informazione.

 

CagliariPad https://www.facebook.com/CagliariPad 1772 seguaci della pagina (9 amici lo seguono) e profilo personaleCagliariPad on line https://www.facebook.com/www.cagliaripad.it (2.114 contatti44 amici in comune)
CastedduOnline

(4.450 amici di cui 53 in comune) – (pagina fan 18 amici in comune, di cui 16 colleghi giornalisti)https://www.facebook.com/castedduonline

SardiniaPost

(2.393 fan22 dei quali li conosco pure io.) Manco a dirlo, tutti giornalisti tranne 2.https://www.facebook.com/SardiniaPost

Sardegna Quotidiano (lo so, sono in vacanza da un po’ ma a livello statistico è comunque utile) https://www.facebook.com/SardegnaQuotidiano (3.958 fan, 45 in comune)
 

Sardegna 24 https://www.facebook.com/Sardegna24

(9.275 fan, 50 in comune)

Pochini eh? Nella migliore delle ipotesi non arrivano al 10% dei miei contatti.

Non se la passano meglio i due dinosauri

Non voglio trarre conclusioni affrettate. Un buon 30% dei miei amici di facebook non vive in Sardegna. Decido quindi, scosso da un nuovo slancio di entusiasmo di dare uno sguardo alle testate nazionali:

  • Corriere della Sera. 725.913 “Mi piace” Settecentoventicinquemilanovecentotredici. 34 amici lo seguono. Tolti i soliti 20 giornalisti, i restanti 14 vivono “in continente”.
  • La Repubblica 1.042.768 “Mi piace” – 55 amici lo seguono.

Va bhe, magari sono io che ho amici strani che rifuggono i canali classici. Provo con  Report. https://www.facebook.com/pages/Report/160634710642350?fref=ts

Le iene https://www.facebook.com/leiene

Niente da fare.

Mi fermo, un brivido mi zigzaga sulla schiena…NO. La pagina di uomini e donne non la guardo. Marrani voi a controllare! https://www.facebook.com/uominiedonne  io non c’ho il coraggio. (non è vero, ce l’ho, e per fortuna i miei contatti ad aver cliccato mi piace sono pochi. Sappiate che ora so, e dovrei cancellarvi tutti)

Quando è troppo è troppo. Per oggi ne ho avuto abbastanza.

Sia chiaro, non sono così scemo da non considerare che connettere il proprio account facebook a tutti questi quotidiani equivalga a trasformarlo nell’ansa in diretta e non tutti sentono la necessità di utilizzarlo in questo modo, e c’è anche da dire che una buona percentuale del campione analizzato:

  1.  lo usa solo per giocare a farmville, farmville 2 il ritorno (dio vi fulmini) e pubblicare foto di gattini.
  2.  ignora o potrebbe ignorare l’esistenza delle pagine facebook dei quotidiani e andare a leggerseli direttamente sui sito.
  3. ignora l’esistenza dei quotidiani online (ma ora lo sapete, non avete scuse)
  4.  fa parte del gregge delle capre sgrammaticate. (impossibile, li avrei già cancellati)
  5. non clicca mi piace sulla pagina di quel quotidiano perché è di quel tizio o conosce quell’altro che gli ha fatto un dispetto e allora non esiste che io gli faccia aumentare i fan e poi magari pensano che io sia di destra di sinistra di centro o di lato.

Resta il fatto che comunque, anche tolti questi fattori di disturbo, per il mio campione i numeri restano comunque bassi.

E voi? Che risultati avete ottenuto? Se (come il 90% dei miei contatti) non seguite nessuno di questi quotidiani attraverso la loro pagina facebook, avete voglia di spiegarmi come vi informate?

Peste vi colga, a voi e al futuro di questo paese ignorante.

Un bacio (di giuda).

BASTA! Mi cancello da facebook (per non dirti di no.)


Apparentemente il titolo di questo post non ha alcun senso. Ma allora perché  la ditta Zuckerberg e co. è arrivata a modificare il tasto “NO” presente sulle richieste di amicizia in “NON ORA”? Perché da facebook sono arrivati a dover chiarire che “il mittente non verrà a sapere di essere stato rifiutato, nemmeno dopo mesi.”?

Tutto ciò non ha senso, mi son detto.

Invece, -ta daaaaàn!- colpo di scena: ne ha.

Il paradosso è fragile quanto comune: abbiamo bisogno di sentirci integrati nella società, di interagire con i nostri simili ma non ci piace il gusto agrodolce dello scontro, non ci sentiamo in grado di guardare negli occhi il prossimo e fargli sentire le nostre ragioni, in nome di un quieto vivere che ha il sapore di merda dell’ipocrisia. Viviamo in una società di conigli che preferiscono un quieto mortifero silenzio a un utile eventuale scontro. Un gregge di pavidi dal sorriso di gomma.

Nell’era della comunicazione sociale, il silenzio si sta viscidamente sostituendo al ben più educativo NO. Si perché il rifiuto è educativo e probabilmente se siamo circondati da imbecilli rompicoglioni è anche causa tua e della tua scelta di ignorarli piuttosto che mandarli a fare in culo. Ce lo insegna la nonna che le sbruncate* (*sbruncare: sbattere il muso) servono a fare autoanalisi e migliorarsi.

Oggi mi sono imbattuto in questo interessante articolo dal titolo “Ciao facebook, grazie e vaffanculo.” [LEGGETELO]. Un pezzo che affronta diverse problematiche tutte piuttosto valide. Tema: il rincoglionimento globale. In tutto il discorso c’è però un fastidioso errore di fondo, (un errore che spesso facciamo nella vita) ovverosia pensare che il problema stia nello strumento e non nell’uso che scegliamo di farne. Diciamolo subito: se te la prendi con gli oggetti invece che con te stesso, sei un imbecille.

Ora è noto che io non sia particolarmente tollerante. Non cerco di mediare. Se tu sei coglione e io non sono tuo padre, non devo insegnarti a vivere, devi morire.

Ma basta, perdiana!

Non è colpa del coltello se ti tagli.

Stessa cosa vale per l’abusato “non berrò mai più” del dopo sbornia o per il cellulare, catena insopportabile che ci lega al mondo: nessuno ci obbliga a tenerlo acceso 24 ore al giorno, nessuno ci obbliga a bere 8 litri di vino. Potresti scegliere, invece no: tieni acceso il cellulare, bevi come una merda. Lo fai e poi te ne lamenti fino ad arrivare alla brillante illuminazione della soluzione drastica.

La soluzione drastica, neanche a dirlo, non è una soluzione: è piuttosto un’illuminazione temporanea atta ad evitare l’autoanalisi o la ricerca di vie alternative equilibrate e ragionate. Cosa veramente assurda è pensare che soluzioni drastiche che abbiano come capro espiatorio l’oggetto e non il soggetto possano essere la via giusta: problemi causati da scelte arbitrariamente sbagliate che NOI (non il vino, facebook, o il cellulare) facciamo.

Chi ci obbliga a essere sempre reperibili? Chi ci obbliga a dover fare la bella faccia con tutti? In quale preciso momento della storia è stato stabilito che non si può rifiutare una richiesta di amicizia con un cordiale “mi dispiace, aggiungo solo amici intimi” o con un meno cordiale “non ti conosco, cazzo vuoi?”. Quando siamo diventati schiavi del ricatto del cellulare per cui è intollerabile rifiutare una chiamata senza addurre motivazioni plausibili tipo “scusa ma mi era caduto nel cesso”? Non sarebbe molto più dignitoso dire “non avevo voglia di rispondere?”.

Ai posteriori l’ardua sentenza: sì, posteriori, perché a furia di piegarvi a compromessi del genere, fidatevi, prima o poi il culo vi brucerà.

Ciao.

Sei o non sei un REFERENDUM?

Ti piacerebbe affidare il tuoi averi a un disonesto? Che senso ha chiedere a un affamato se abbia fame? O chiedere a un povero se voglia dei soldi in regalo?

Indire un referendum contenente domande di cui si sa già la risposta ha più senso? Evidentemente si. O almeno ha senso nel PD, che ha deciso di delegare ai cittadini scelte che non vuole o non può fare per mantenere alcuni “equilibri interni”. Una scelta azzeccata per dare risposte a quanti avessero dubbi riguardo la pavidità e l’ignavia della classe politica che ci portiamo sul groppone. Esagerato? Può darsi, ma forse è opportuno andare prima a leggere i sei quesiti del referendum del PD: (www.referendumpd.com)

QUESITO 1
Volete voi che il Partito Democratico si faccia promotore e sostenga fino ad approvazione in entrambi i rami del Parlamento una riforma che diminuisca la pressione fiscale complessiva a partire dalla riduzione di tutte le aliquote dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) in una misura almeno pari al 5 %, e che detta riforma venga finanziata attraverso l’introduzione di una imposta patrimoniale sulla ricchezza finanziaria delle famiglie abbienti, l’aumento del gettito dovuto alla ripresa della crescita economica e la riduzione della spesa pubblica complessiva?
 

Vi piacerebbe avere meno tasse? Avete una innata passione per Robin Hood? In pratica volete che il PD faccia qualcosa per riequilibrare l’economia reale e il gap mostruoso venutosi a creare negli ultimi 20 anni tra piccoli risparmiatori e grandi patrimoni? Cliccate su YES.

QUESITO 2
Volete voi che, nella prossima legislatura, il Partito Democratico promuova e sostenga fino ad approvazione in entrambi i rami del Parlamento una riforma del welfare, senza aggravi per il bilancio pubblico (come è già dimostrato possibile), che rafforzi il diritto al benessere attraverso l’istituzione del “reddito minimo di cittadinanza”, in linea con tutti gli altri paesi europei, anche per recuperare alla piena cittadinanza economica e sociale le categorie oggi più marginalizzate (i giovani e le donne)?

Volete avere dei soldi senza fare niente? Fantascienza? Ma no, il reddito di cittadinanza c’è già in diversi paesi europei, e regala un briciolo di dignità ai più sfortunati e permette agli studenti di andarsene via di casa, ad esempio. E’ una bella idea, no?

Chi voterebbe contro?

QUESITO 3
Volete voi che il partito democratico si impegni a proporre a e far approvare nella prossima legislatura una norma, da introdurre eventualmente anche con una legge costituzionale, che definisca il divieto di  candidatura e l’automatica decadenza in relazione alle cariche di deputato, senatore, membro del Parlamento europeo, alle cariche elettive e di governo delle regioni e degli enti locali, nonché all’assunzione di incarichi di Governo, di presidente e componente del c.d.a. di consorzi e di società controllate dalle amministrazioni pubbliche, per tutti i soggetti condannati per reati gravi con sentenza di condanna o di patteggiamento anche non definitiva ovvero sottoposti a misure di prevenzione?
 

In sintesi: VOLETE CHE I LADRI NON GOVERNINO? Ma è una domanda da farsi, signori del PD? Vi rendete conto che fare una domanda del genere lede il comune senso del pudore? Per quale motivo una persona sana di mente, onesta e lavoratrice dovrebbe essere contro una norma di questo genere che va a tutelare gli interessi di tutti (meno che dei disonesti, s’intende)? Avete forse il PDL come elettorato di riferimento?

QUESITO 4
Volete voi che, nella prossima legislatura, il Partito Democratico promuova e sostenga fino ad approvazione in entrambi i rami del Parlamento una legge che tuteli gli spazi non urbanizzati, introduca il monitoraggio degli usi del suolo, indirizzi l’attività edilizia necessaria al prioritario recupero dei vasti patrimoni non utilizzati o sottoutilizzati e cancelli la legge che consente l’utilizzo degli oneri di urbanizzazione per le spese correnti dei Comuni?
 

Ecco questa è una domanda già più complessa. Volete la tutela del territorio? Mah, non saprei. Stavo pensando di costruire nel terreno che ho a Geremeas. Mi ricordo che con Soru era un casino edificare e stavo proprio pensando di farmi la casa al mare. E fra l’altro mio cugino voleva trivellare tra Cabras e Arborea per cercare il petrolio. Potrebbe essere problematico se decidessero di tutelare maggiormente i territori.

Va bhé, passiamo alla prossima…

QUESITO 5
Volete voi che, nella prossima legislatura, il Partito Democratico promuova e sostenga fino ad approvazione in entrambi i rami del Parlamento una legge che consenta anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio, riconoscendo loro tutti i diritti e tutti i doveri connessi allo stato coniugale?
 

Ma siete pazzi? Non lo sapete cosa succede a mettersi contro lo Stato della Chiesa? Questi evidentemente non hanno letto Jenus (www.facebook.com/jenusdinazareth).

Volete distruggere anni di equilibrismo con una domanda così esplicita? E poi ricordatevi che siamo in Italia, se date tutti i diritti e tutti i doveri alle coppie dello stesso sesso poi sono anche costretti a fare i figli. Possono adottarli!! Ohi ta dannu gesùmaria. Guardate che poi l’UDC non vi vuole più. Io vi ho avvisato.

QUESITO
Volete voi che, alle elezioni politiche del 2013, il Partito Democratico proponga un patto con le forze progressiste e democratiche del Paese, a partire da quelle con cui già amministra in molti territori, e accogliendo al suo interno il contributo della società civile, a patto che dette forze non abbiano sostenuto i precedenti governi Berlusconi e tutt’ora non siano alleate nel governo delle amministrazioni locali con Pdl, Lega, e altre formazioni di centrodestra che negli ultimi vent’anni hanno contribuito al declino dell’Italia?

Questa domanda è in assoluto la mia preferita: volete che il PD si allei un po’ come gli pare a seconda della convenienza oppure che mantenga una coerenza? Pensateci bene prima di rispondere. Siete davvero sicuri che la coerenza sia un bene? Guardate che poi torna Berlusconi, si allea con tutti e ve la mette nel di dietro.

Bene. Cioè, male. Mi sono sfogato. Siete VOI d’accordo con me? Non siete d’accordo?

Un partito che si definisca progressista non dovrebbe delegare delle prese di posizione di questo tipo, su questi temi, al proprio elettorato di riferimento. A meno che non abbia come leader Ponzio Pilato. E allora che senso ha spendere dei soldi per avere delle risposte ovvie? Perché nel PD si è dovuti arrivare a proporre un referendum con domande di questo tipo? Idee che dovrebbero essere la spina dorsale del programma di un partito come il PD perché fanno fatica a emergere?

VOI, VE LO CHIEDETE?

Ora ve lo pongo io un bel quesito: volete VOI che nella prossima legislatura CI SIA un partito fatto da gente incapace del coraggio di fare scelte fondamentali per sancire la propria identità?

La mozzarella di bufala salva la tua privacy dal ministero degli interni, mangiala.

Ai miei tempi le catene di Sant’Antonio giravano via mail. Ai tempi di facebook, 10 anni dopo, girano via facebook.

Pensare che le persone smettano di pubblicarle, di crederci o che inizino ad avere voglia di informarsi prima di pubblicare appelli è pura utopia. Non è importante che la legge citata nel messaggio sia una legge americana, non è importante il contratto sottoscritto con facebook con cui si rinuncia di fatto alla proprietà di ciò che si carica all’interno del social network. Parte una catena e via, tutti giù, testa bassa e condividere. Combattere un fenomeno come questo sarebbe degno del miglior Don Chisciotte. Così, siccome non mi intendo di mulini e pale eoliche, ho deciso di seguire l’esempio di Maccio Capatonda ne “L’italiano medio”, di arrendermi e scrivere un messaggio anche io, messaggio che vi consiglio di pubblicare sulla vostra bacheca, per la vostra sicurezza s’intende.

IL MINISTRO DEGLI INTERNI HA CHIESTO (E OTTENUTO) L’ACCESSO A VOSTRA MAMMA SU FB. PER EVITARE DI AVERE UN FRATELLASTRO DA UN POLITICO VI CONSIGLIO DI FARE COPIA-INCOLLA SULLA VOSTRA PAGINA.
Dichiaro quanto segue: Qualsiasi persona o ente o agente o agenzia di qualsiasi GENERE , struttura governativa o privata, NON HANNO IL mio permesso (tranne su richiesta esplicita e con consenso mio personale) di fecondare mia mamma o qualsiasi parte del suo contenuto presente su facebook, comprese le foto; inoltre ci tengo a precisare che se nominate mia mamma vi scendo gente dai colli di San Michele, se mi state molto sul cazzo chiamo anche amici di Santuzza. Sono informato del fatto che a tali personaggi è strettamente proibito perdere in risse a colpi, craccate di mano, scazzottate multiple tagazzuè e tagazzuò. Quindi siete avvisati. Il contenuto di questo messaggio è privato e non dovete leggerlo. Se proprio dovete sbrigatevi, poi abbassate lo sguardo e state zitti. Le informazioni in esso contenute sono riservate ad un pubblico adulto. La violazione della mia privacy è punita con una pena che va da 1 a 3 anni di reclusione in via Schiavazzi.
Siccome sono scoppiato adesso vi cito una legge americana: CC – 1 – 308 -1-103. Facebook è ora un’entità sovrannaturale quotata in borsa e in quanto entità sovrannaturale farà in modo che escano fantasmi e mostri tipo IT dagli scarichi del vostro bagno. PERTANTO PER LA VOSTRA PRIVACY VI CONSIGLIO DI ABBASSARE LA TAZZA DEL CESSO E DI TAPPARE IL LAVANDINO DOPO L’USO.
Siete tutti vivamente consigliati di frequentare un corso di italiano che vi permetta di scrivere un annuncio migliore di questo, o se preferite, copiate e incollate direttamente questa versione ma sappiate che come accadeva al liceo, se copiate senza cambiare le parole la maestra vi sbicca. Non pubblicare tale dichiarazione almeno una volta, permette indirettamente l’uso di oggetti quali anal intruder, frusta e zirogna di bue su di voi e sui vostri parenti. Immagini e informazioni contenuti nei vostri aggiornamenti di stato pubblici verranno sbagassati a manetta in tutta internet e se avete foto a tette fuori ci faremo fotomontaggi porno. Guardate che è vero!!!111
 

Mi raccomando lasciate anche gli 111 alla fine dei punti esclamativi. Sono fondamentali.

Se diventerà famoso lo troverete sul sito  www.attivissimo.net,  il blog di un bravo giornalista, Paolo Attivissimo, che ormai da anni offre un servizio “antibufala” rintracciando l’origine e la veridicità o meno delle migliaia di messaggi che girano su internet. Salvaisì.

Il sociale e l’antisociale: facebook edition

Ciao. Continuo a sentire molti dire che facebook fa male alla socialità, perché sta facendo rinchiudere le persone nelle proprie case: tutti cliccano mi piace, linkano cose, condividono ma alla fine passano più tempo là da soli che in compagnia. Forse questo è vero e l’abuso di internet porta con se una serie di difetti su cui non voglio e non posso sindacare, ma quello che vorrei contestare oggi è l’inutilità sociale del mezzo: facebook è  uno strumento sociale UTILISSIMO anche per l’uomo asociale e consente di risparmiare un sacco di tempo.

Quale tempo? Il tempo che normalmente ci servirebbe per scoprire che le persone che abbiamo appena iniziato a frequentare non ci piacciono, ad esempio. Col poco spazio a disposizione che contraddistingue i giorni nostri, uno strumento di questo tipo è una benedizione: un setaccio favoloso che fa emergere con grande facilità cervelli di gallina, capre sgrammaticate, fondamentalisti di ogni sorta. Prima di facebook poteva succedere di incontrare brutte persone su internet, magari su icq, skype o C6 (lo so, sono anziano e lo sto ammettendo). So di persone che per portarsi a letto una ragazza -grazie a fastweb e adunanza- scaricavano immediatamente tutta la discografia del cantante preferito della povera babbea, circuita con un pugno di bytes.

Di seguito un discorso tipo, che ho inventato adesso e che scimmiotta in maniera sommaria e abbreviata questa realtà diffusa:
Maschio ingannatore – Ciao, sei molto carina. Ti va di fare due chiacchiere?
Femmina ingenua – Grazie, anche tu non sei male. Ok.
Maschio Ingannatore – Che musica ascolti?
Femmina – Mah, vari. Sicuramente non li conosci. Sono una persona sofisticata.
Maschio ingannatore – Dai dimmene qualcuno guarda che ti posso stupire.
Femmina – Ok… Allora mi piacciono molto i Libertines e i Silverchair ad esempio.
Il ragazzo ovviamente non li ha mai sentiti nominare.
Maschio paraculo – Incredibile! Sono praticamente i miei gruppi preferiti! Aspetta un secondo che hanno suonato alla porta! Torno subito! 😀
[/open emule adunanza (7 mb/sec di banda)-download discografia silverchair-download discografia Libertines]
[/open google: search “libertines canzoni migliori”]
[/open youtube: search “silverchair” – ordina per numero di visualizzazioni]
-download completati- ascolto compulsivo di alcune canzoni.
Maschio paraculo di ritorno – Eccomi! A me piace troppo music when the lights go out dei libertines, e Miss you love dei Silverchair. Ma lo sai che quando l’ha scritta l’aveva appena lasciato la ragazza e stava per suicidarsi?
Femmina circuita senza merito – Siiii cee incredibile piacciono troppo anche a me!!!!! Assurdo sono le mie canzoni preferite! <3 Ma dimmi, che fai stasera?

Ecco. Questo con facebook non può accadere. Giusto poco tempo fa ho sentito alcuni genitori preoccuparsi del fatto che il social network in questione consenta di costruire immagini di sé diverse dalla realtà, così da ingannare il prossimo a proprio piacimento. La quantità di divorzi causati da facebook unita all’imprecisione e alla stupidità umana, dimostra, a mio parere, il contrario.  La presenza simultanea di molti contatti personali su una bacheca è difficile da gestire o da arginare. Le impostazioni di condivisione, queste sconosciute, unite al malefico “amici di amici” costituiscono un rischio. Così se anche una persona prova a raccontarci boiate al solo scopo di affascinarci è difficile che riesca a mantenere coerenza con il mondo digitale che gli scorre sotto i piedi. Se c’è un problema del raccontare balle è che bisogna ricordarsele, ma è senz’altro peggio non avere il controllo sulla prateria di amici che interagiscono con le nostre bacheche. Insomma bluffare su facebook è un po’ come essere sposati e cercare di invitare una ragazza a uscire durante la cena di natale coi parenti.

Ma ho divagato; il discorso iniziale doveva essere un altro e cioè: non è vero che facebook ci isola. Facebook è innocente ed è anzi un ottimo strumento, e il fatto che le persone ci passino del tempo è proprio il motivo fondamentale per cui risulta essere un utile filtro sociologico. L’opportunità di sapere se ci sia qualcosa da fare la sera è centuplicata e la possibilità di trovare persone affini con cui chiacchierare, condividere esperienze o fare bambini è infinitamente maggiore e ci consente di focalizzarci su target interessanti con molta più precisione.

Certo, è anche vero che però ci fa odiare molta più gente, subito.

Ma per oggi volevo guardare il lato positivo.

 

Love retro.

einstein-sucker

Love retrò? No. Love retro. Love retro è un famoso errore di trascrizione, o forse di comprensione. Non va in ogni caso sottovalutato, ed è peraltro utile ad introdurre questo tema di oggi che parla de L’attualità, de il passato, e l’ignoranza. Due punti:
A me l’attualità non mi piace. Non mi piace perché c’è sempre un allarme: oggi c’è l’allarme caldo. Bollino rosso, dicono. Chiquita era blu, penso. La settimana più calda dell’ultimo millennio. Anche l’anno scorso era la più calda del millennio. Tra un paio d’anni a ferragosto ci saranno 150 gradi, ma almeno non ci sarà più l’allarme perché a 150 gradi la tv si squaglia. Nel mentre noi stiamo comunque a novanta, gradi, anche d’inverno. Allarme 90 gradi d’inverno. No ma non si parla di temperatura. Non fa niente, l’importante è dire allarme. Preferivo prima. Prima quando non c’era internet, quando non c’era la tv e quando la gente non la guardava. Preferivo prima quando non c’ero nemmeno io. Adesso siamo tutti incazzati, tutti ansiati, tutti arrennegosi perché c’è uno che scanna i cani in Ucraina e un altro che crede di curare i bambini poveri dell’Africa pubblicando link su facebook. Siamo incazzati anche con quelli che non si incazzano perché non si incazzano. Allarme meteo, allarme influenza aviaria, allarme mozzarella blu, allarme spread. Noi lo spread non dovremmo nemmeno sapere cos’è. E manco adesso lo sappiamo, però usciamo di casa e col vicino diamo di gomito se scende sotto i 400 e siamo tristi se supera i 500. Nel quotidiano mica ci sono tutti questi allarmi: esci, fai la spesa, chiami gli amici, lavori, scrivi stronzate, rutti, ridi, sei triste, mangi dormi bevi. Invece nel quotidiano, in quello di carta, ci sono le sirene. Non quelle del mare che sembrano un po’ pivelle e un po’ pesci. Quelle degli allarmi. Prima il mondo era più tranquillo!! Non è vero. Prima, tipo 60 anni fa, c’era la guerra mondiale. Anche allora c’erano gli allarmi, ma non c’erano questi allarmi del cazzo, inventati per rompere i maroni. C’erano gli allarmi comprensibili: suona la sirena, corriamo nel rifugio che arriva gente a bombardarci. Causa-effetto-soluzione. Così ci piace. Con questi allarmi nuovi non sai cosa fare. Perché non sono tangibili, e poi sono troppi. E se te li ricordi tutti alla fine non esci di casa. Qualcuno dice che in fondo è meglio essere ignoranti. L’ignoranza ti risolve il problema dell’ansia? Ma no. Cazzata. Non è così: è come risolvere il problema della paura del buio entrando in una stanza buia e chiudendo gli occhi. Sempre buio vedi. E l’ansia a noi ci viene perché di tutte queste cose non capiamo una cippalippa e non sappiamo cosa fare per aggiustarle. Anche perché non possiamo aggiustarle. Lo spread è alto! Dagli due pasticche di tachipirina 1000 e vediamo se migliora. Preferivo prima, quando almeno avevo solo dei problemi reali e circoscritti al mio microcosmo e del resto del mondo potevo fregarmene senza apparire un insensibile. Adesso invece ho sempre i miei problemi e del resto del mondo non posso fregarmene per colpa degli allarmi. Provo comunque a fregarmene apparendo un insensibile. E in realtà è proprio questo il punto, a mio parere. E’ o sarebbe lecito fregarsene. Non si può riuscire a capire tutto, non siamo maghi della finanza, non siamo luminari della medicina, non siamo biologi di fama mondiale o astrofisici shpaziali. Eppure con tutti questi allarmi implicitamente ci chiedono non solo di esserlo, ma di essere tutte queste cose insieme. Ci chiedono insomma una cosa impossibile che per di più è anche deleteria perché se capisci male le cose (e molto probabilmente le capirai male) l’unica cosa che puoi ottenere è ansia. E l’ansia a cosa serve? A farti fare peggio le uniche (poche) cose che potresti fare (bene) nel tuo piccolo. Allarme tonni radioattivi. E che cazzo, manco in star trek.

Constatando su me stessa medesima quanto sia vero che le femmine c’hanno le pigne nella testa.

donnepigne

Mentre leggevo stupidaggini in internet come mio solito, mi sono imbattuto in un interessante flusso di coscienza che a mio parere è antropologicamente e sociologicamente molto valido e costituirà uno spunto prezioso sia per i maschietti che per le fanciulle.

Vi invito pertanto a leggerlo e a trarne le dovute conclusioni per la vostra vita, sia le dinamiche in esso descritte vi appartengano, sia che no.
La foto che potete vedere nel post dimostra che già gli antichi, in Cambogia, avevano compreso la realtà racchiusa nel titolo di questo post.

CONSTATANDO SU ME STESSA MEDESIMA QUANTO SIA VERO CHE LE FEMMINE C’HANNO IN REALTÀ LE PIGNE NELLA TESTA.

“Poco fa sono andata a correre alla mia solita pista d’atletica vicino casa; arrivata all’ingresso della pista, mi accorgo che il cancello è chiuso ma al tempo stesso all’interno ci sono i tre quattro soliti che corrono o recuperano. Un ragazzo mi spiega che i responsabili dell’impianto hanno dimenticato il cancello chiuso e tutti quindi hanno dovuto scavalcare.
Mentre mi appresto ad arrampicarmi sul cancello, arriva un uomo sulla quarantina che non avevo mai visto, con due bellissimi occhi scuri, intensi come il sapore del vento. L’uomo della mia vita mi afferra saldamente per le gambe, mi aiuta a scendere e poi mi sorride dolcemente. In quel momento storico in cui avrei potuto uscirmene con una frase brillante o anche solo con un sorriso ancor più tenero che avrebbe definitivamente suggellato il nostro amore, l’unico concetto che la mia mente riesce a elaborare è “omioddio
in questo momento devo essere di certo orribile i capelli legati la maglia dei sex machine sono sicura che ha notato la ricrescita sulle gambe l’ha notata di certo e poi sono pallidissima starà di certo pensando che sono troppo pallida ma che cazzo mica posso incipriarmi prima di andare a correre e non ricordo se ho messo gli shorts che mi fanno il culo grosso oddiooosì ho messo proprio quelli” e allora in preda al disagio mi sono incupita, ho bofonchiato un “grazie” depresso e sono scappata via.”

Ringrazio Shwa per questa perla che trovate all’interno di http://www.asphalto.org/go/post_id/1481501/page_start/120

11 MOTIVI PER ANDARE A VEDERE LA GRANDE BELLEZZA. (O PER NON ANDARCI)

Facebook ha un difetto. Le cose che ti interessano passano in un battibaleno e non puoi rileggerle; si nascondono subito nella timeline. Per questo ho deciso di aprire un blog. E per questo oggi ripubblico un post interessante.

Non è vero.

Lo sto pubblicando unicamente per farvi vedere che ho amiche fighissime e attentissime che scrivono cose intelligentissime e si ricordano tutto dopo aver visto un film una volta sola. Pure i nomi dei personaggi.

L’oggetto di questo post comunque è “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino.

P.s. non ci sono spoiler. Cioè qualcuno c’è ma è irrilevante: insomma leggetelo sia che siate già andati a vedere il film, sia che dobbiate ancora andare.

Se non ve ne frega una beneamata ceppa potete anche non leggerlo, ma siete brutti.

LA GRANDE BELLEZZA

Di Chiara D. 

1) Gli attori. Verdone è già stato così drammatico, ma in film che lo erano meno, vedi “Compagni di scuola”, per esempio. In tutti gli altri film fa il Verdone che ci si aspetta, per ridere. Sorrentino ti fa venire il dubbio che Verdone sia – stia – davvero così. Fallimento e frustrazione: perfetto, vero, verissimo.

2) I richiami a Fellini erano l’unica cosa che conoscevo del film prima di vederlo. Se ci sono, e non lo so, sono nei riferimenti circensi. Io ho pensato ad altro, a qualcosa che abbiamo visto più volte di recente: la scena del vitello d’oro ne “I dieci comandamenti”. Ovvero il proliferare di miti effimeri… chissà.

3) La storia, così, poteva essere solo opera di Sorrentino. Una masturbazione, ha ragione Enrico. Una storia, nel senso di contenuto, sacrificata alla grande bellezza di tutto il resto, aggiungo io. E mi piace, ché a me del contenuto, dell’esempio di vita da citare, del messaggio… non è mai fregato niente.

4) Il monologo-massacro era ben scritto, ma non ci voleva nulla a ben scrivere una roba del genere. Ha vinto facile. Per me trascurabile didascalia a un film che si spiegava da solo.

5) Roma. Non mi è mai piaciuta Roma, non mi piace neanche qui. Non sono neppure certa piaccia a Sorrentino, ce la racconta per cartoline e luoghi comuni. La Roma di Sorrentino è un luogo comune: la Ferilli ha il papa polacco tatuato sul braccio, infatti.

6) Talento visivo. Indiscutibile. E vediamo, tra le mie cose preferite, il turista giapponese che fotografa la bellezza e poi muore. Perché davanti alla Grande Bellezza, quella con le lettere maiuscole, quella vera, si può solo sentirsi mancare, davanti a quella si è piccolissimi anche senza troppo scomodare il Romanticismo. Pure qui la didascalia: il monumento a Garibaldi col famoso motto “O Roma o morte” che, a questo punto, forse, va letta in senso meno patriottico.

7) L’invenzione del personaggio della contessa decaduta, cui non resta che farsi raccontare la propria storia dagli oggetti che le sono appartenuti.

8 ) Le scelte visive di Sorrentino. Avevo pensato meravigliosamente simmetrico, poi fastidiosamente simmetrico. Comunque simmetrico. il 90% delle riprese erano frontali, a fuoco unico centrale definito, ogni volta, da un oggetto, da una persona, persino dal sole, a fare asse di simmetria. La vita non è simmetrica, simmetriche son state le quinte teatrali, il teatro è finzione e Sorrentino non lo nega ed è ancora didascalico quando chiarisce tutto con le scene al Tempietto del Bramante, tripudio di simmetria. La vita non è simmetrica, dicevo, e qualche volta Servillo vive la vita vera e le riprese non sono più simmetriche… al 10% ci sono il racconto e la vita vera, non è che mi servissero, ma non erano ingombranti.

9) Il rumore. A sottolineare i bagordi erano urletti isterici, rumore fine a se stesso che chiariva la qualità di quei festini. Un film, poi, tutto parlato, parlatissimo quando si recitava davanti a quinte simmetriche… erano così silenziosi gli altri film di Sorrentino che ti dicevi, davanti alla loro bellezza, “Perché non parli!” e ora parlano, e lo sanno fare.

10) Non volevo morali, io non le voglio mai dai film. Non ce ne sono state, e pure quel “… una vita devastata. Come tutti noi” che Servillo dice alla Ranzi non mi ha pesato e l’ho persino amato.

11) Torna Cenerentola. Ce n’era già una ne “Le conseguenze dell’amore”, una pure in “This must be the place”, qui ce n’è una macabra. La Ferilli che sfila in abiti da lutto. Questo è svecchiare un topos cui si tiene. Plauso.

Breve storia dell’uomo.

Ho freddo, disse l’uomo rivolgendosi a dio. E dio gli diede una coperta. Ho ancora un po’ di freddo, disse l’uomo. E vorrei la luce anche di notte. Così iniziò a tagliare gli alberi dell’unico bosco che c’era sulla terra, e a fare un fuoco ogni notte. Poi finirono gli alberi, la fotosintesi, l’uomo consumò tutto l’ossigeno e morì.
Fine


L’uomo ragiona in piccolo, partendo da sé, e finendo con sé. 

Del resto, degli altri, chi se ne fotte

IL MIMOSAURO DIGITALE

mimosauroL’8 marzo è quel giorno in cui ciclicamente riscopriamo l’esistenza dell’unica specie di dinosauro non ancora estinta, e anzi frutto recente dell’evoluzione: il Mimosauro digitale.

Il Mimosauro digitale è un parente stretto del più noto tirannosauro; i tratti distintivi sono le grosse pupille dilatate, la testa cava ma di dimensioni generose e le braccine corte, che richiamano un legame di parentela con i nativi di Genova. Portatore sano di sms ciclostilati in occasione di qualsiasi festività, fiero e pieno di sé, questo splendido animale trova il suo habitat naturale nel social network; grazie alla spiccata facilità di apprendimento, il Mimosauro ha inaspettatamente sviluppato un’intelligenza complessa, vicina a quella delle grandi scimmie: nonostante le corte zampe infatti, esso riesce a ricercare su google una bella foto di mimose e a caricarla su facebook. Scoperto e consolidato l’utilizzo del tag multiplo, questo maestoso essere provvede ad utilizzarlo con tutte le ragazze ritenute degne di fecondazione.

A volte, crepi l’avarizia, tagga anche quelle che non gli interessano.

Tanto è gratis, mica gliele porta a casa le mimose.

È però interessante notare che con questa pratica, il forte e astuto Mimosauro contribuisce alla selezione naturale, di fatto autoescludendosi in toto dalla seppur remota possibilità di riprodursi con qualsiasi donna abbia un Q.I. maggiore di 10.

Che meraviglia, altro che SuperQuark.

La retrocompatibilità degli sms.

Ti accorgi che è i tempi stanno cambiando quando pensi agli sms: tutto d’un tratto sono diventati obsoleti. 

Oggi le uniche persone a cui li mandi sono quelle stesse persone che 10 anni fa, mentre noi ggiovani sfiammavamo christmas/summer ed altre-stagioni-card non sapevano nemmeno come mandarli e anzi si chiedevano come potessimo farne così largo uso.  

Gli sms oggi sono totalmente inutili, antieconomici e facilmente sostituibili. Chiunque abbia uno smartphone con internet si è accorto che facebook messanger, whatsapp, telegram e perfino la mail possono tranquillamente farne le veci garantendo una perfetta integrazione con l’apparecchio e nuove utili funzioni. Aggràtisi. In Italia, se non consideriamo le tariffe allinclusive (ma che cacchio me ne faccio di 1000 sms inclusi, datemi più giga, grazie) il prezzo medio per uno striminzito sms è di circa 12 centesimi: uno sproposito, senza considerare che la soglia dei 160 caratteri si supera facilmente, facendo levitare il prezzopermessaggio alla folle cifra di 1/4 di euro. Nemmeno fosse un MMS (sì, esistono ancora!). 

A questo punto ci si deve chiedere: gli sms a cosa servono? Perché esistono ancora? E soprattutto perché le compagnie telefoniche possono permettersi di continuare a farli pagare così tanto? La risposta è abbastanza semplice: servono a garantire la retrocompatibilità con i vecchi. Come accade con i sistemi operativi dei computer. Anche le problematiche annesse sono le stesse: a fronte di una maggiore compatibilità con i modelli precedenti c’è uno spreco inutile di risorse. In pratica siamo costretti a tenerci un tappeto e della legna nel cofano della macchina, perché si, il telefono ce l’hanno tutti, ma alcuni usano ancora i segnali di fumo.

Edit – Siamo nel 2016 ed esiste ancora il televideo. Gente che lavora ogni giorno per inserire contenuti nel televideo. Mi state dicendo che davvero c’è ancora gente che guarda il televideo?

TORNARE AL VECCHIO PROFILO – COME RIMUOVERE LA TIMELINE DAL VOSTRO FACEBOOK!!

Ciao!! La timeline di facebook non ti piace? L’hai messa per provarla e ora vorresti tornare al vecchio profilo? Dì la verità, ti sei pentito, non capisci niente e hai deciso che vuoi tornare indietro. Ecco, anche se non vuoi crederci, ficcatelo in testa: non si può. Svegliati, ogni volta succede la stessa cosa!! Cliccando mi piace o installando una miracolosa applicazione non puoi fare un bel niente. Hacker e cybercriminali approfittano ogni santa volta dei trend del momento per imbottire i computer degli utenti meno accorti con virus, trojan e malware.

Bene! Ora che ho avuto la tua attenzione, parliamo:

Ti ricordi il virus con le false foto di Bin Laden morto?

E quello “incredibile cos’ha fatto questa ragazza”?

Sì che te li ricordi. Sto parlando proprio a te, che ti sei fatto fregare da entrambi, hai internet dal 1990 e nonostante ciò ancora clicchi su MI PIACE in una pagina facebook con 70.000 pirla che credono che altrimenti entro 3 giorni tua sorella diventerà a pagamento (posto che non lo sia già).

In quella stessa bacheca hanno appena scritto “ma non funziona!!” E certo che non funziona, imbecille!!!! Ma tu non lo leggi.

Proprio tu, che continui a combattere contro quei mostri che in Francia pescano gli squali utilizzando cani vivi come esca.

Tu che credi ancora ai bonsai kitten, i gatti allevati in bottiglia dai giapponesi. Non eri nemmeno nato quando hanno inventato questa bufala!!!! E no, i cinesi non vendono cervelli di bambini morti in scatola.

L’unico cervello in scatola è il tuo!

Ma quelle immagini che hai visto in internet di quel signore che mangia il feto bastano e avanzano a scatenare tutta la tua voglia di indignarti, affiliarti ad una lotta in cui credi solo nell’attimo in cui clicchi CONDIVIDI e ti senti un uomo migliore: i cinesi mangiano feti e i cervelli dei neonati e tu sei lì, pronto col fiammifero a bruciare le streghe. Non importa che lui, proprio quello nella foto sia un noto artista cinese che si chiama Zhu Yu e abbia allestito una mostra dal titolo Eating People (mangiare la gente) nel 2000. NEL DUEMILA. Questa stronzata sta girando da dodici anni!! DODICI!!! Ti rendi conto?

Caro amico, Internet non serve solo a guardare i pornazzi e a pubblicare foto dove fai la faccia da papero in bagno! Puoi informarti, non ci vuole molto, basta sprecare un minuto a cercare su google prima di urlare al lupo al lupo a mezzo mondo. E non continuare a dirmi che “tra il vedere e il non vedere è meglio condividere.”

Credimi, non ti costa niente. Ed essere un po’ meno credulone, un po’ meno spaventato, un po’ più informato e un po’ più consapevole ti serve pure a conquistare le pischelle. Più di quella foto in bagno, sicuramente. Per favore, aiutaci a disinstallare questo virus, è il più potente di tutti.

Si chiama idiozia.

 

Loading…

Il sonno della ragione genera torturatori di animali.

Ciclicamente, nell’internet, la fantasia di qualche annoiato giornalista-blogger-spammer genera mostri a tipo Freddy Krueger. Mostri che, noncuranti della legge ed appoggiati da compiacenti concittadini, si dedicano a scuoiare animali, avendo cura di infliggere loro le più atroci sofferenze (se no non c’è gusto),  allevano gatti all’interno di bottiglie di vetro, o vendono cervelli di feti umani in scatoletta, perché si sa, in oriente sono
considerati afrodisiaci.

Siccome me l’ha detto un mio amico, che cazzate non ne dice, io ci credo, sempre.

Questi ameni personaggi, ciclicamente, ritornano. E delle volte il sonno della ragione ne genera di nuovi. 

Ho da poco letto questa avvincente storia:  una ragazza olandese scuoia gli animali per farne borsette e manicotti per l’inverno, come insegnava il buon conte Uguccione. Condividendo appieno questa pratica, ho deciso di farle pubblicità. (eccola)

http://lalternativaitalia.blogspot.com/2011/12/intervista-alla-ragazza-olandese-che.html

MA

 Per completezza, visto che l’argomento mi sta a cuore ho deciso di autocitarmi e, in una ormai rodata pratica di autoerotismo, incollo di seguito una breve ricerca di cui mi sono occupato qualche tempo fa:

All’inizio del 2008 girava via email, tra le cosiddette “catene di sant’antonio”, la notizia della presunta tortura e morte di un cane ad una mostra d’arte ad opera di un artista d’avanguardia costaricano: Guillermo Vargas Jimènez, anche noto come Habacuc.

L’email conteneva -a supporto della sua tesi- alcune foto di un cane malnutrito e legato con una corda ad un muro di una galleria d’arte.

La notizia suscitò scalpore e non mancarono le reazioni da parte di diverse associazioni ed addirittura in alcuni  TG venne paventata l’ipotesi di vietare le mostre di Vargas all’interno dell’Unione Europea. Le manifestazioni di dissenso su siti e social network non tardarono ad arrivare così come accade con qualsiasi tipo di notizia. Nello specifico, digitando il nome dell’artista su facebook, compaiono circa 400 risultati relativi a gruppi di discussione dedicati alla vicenda.

Il gruppo italiano contro Guillermo Vargas Habacuc, il più numeroso, conta ad oggi 208.069 adepti, seguito a ruota da un gruppo in lingua spagnola, avente 153.282 iscritti, un altro, sempre in lingua spagnola avente 86.124 iscritti ed uno in inglese, il quale ne conta “solo” 44.676.

Queste le parole che denunciavano il fatto, ovvero il trattamento crudele riservato dall’artista al cane, riprese dal maggiore gruppo di facebook e che ricalcano abbastanza fedelmente il contenuto della più datata catena di sant’antonio:

“Nell anno 2007, Guillermo Vargas  Habacuc, un finto artista, prese un cane di strada, lo legò ad una corda corta ad un muro di una galleria d’arte e lo lasciò morire lentamente di fame e di sete:
Durante parecchi giorni, l’autore di questa orribile crudeltà e i visitatori di questa galleria d’arte erano spettatori impassibili dell’ agonia del povero animale, fino a quando finalmente morì di fame e di sete, sicuramente dopo essere passato per un doloroso, assurdo ed incomprensibile calvario.

Ti sembra forte ???

Quello non è tutto: la prestigiosa Biennale Centroamericana di Arte decise, incomprensibilmente, che la bestialità che aveva appena commesso questo individuo era arte, ed in questo modo tanto incomprensibile Guillermo Vargas Habacuc è stato invitato a ripetere la sua crudele azione in fortuna Biennale in 2008.
Oltre 150.000 persone da tutto il mondo, in pochissimi giorni, hanno espresso la propria indignazione verso quella che, secondo loro, non può essere certo considerata un’opera d’arte. A quanto pare Vargas avrebbe pagato dei bambini affinché catturassero un cane per poi utilizzarlo come ‘opera d’arte’ che consisteva appunto nel guardare l’agonia e la sofferenza fino alla morte. Ai visitatori sarebbe stato vietato di portare cibo e acqua e chiunque cercava di avvicinarsi per accudire l’animale veniva allontanato in malo modo con insulti. Sopra il cane morente, una scritta fatta di croccantini con la frase: ‘Eres lo que lees’ (‘Sei quello che leggi’).

Come è possibile che la galleria non abbia imposto a Vargas di liberare il cane? E ancora: è possibile che nessuno sia andato lì con prepotenza – anche violenza – per portarsi via l’animale?
Secondo alcune testimonianze chiunque avesse provato ad avvicinarsi a Nativity per aiutarlo o per dargli qualcosa da mangiare, veniva mandato via ed allontanato con veemenza dallo stesso “artista”.

Quindi ora, anzi immediatamente, dovete unirvi al gruppo e non considerarlo mai più un artista nel vero-senso-della-parola!”

 

In seguito, alla sopracitata descrizione è stata aggiunta una precisazione:

Voglio far valutare bene la cosa leggendo questo:
http://attivissimo.blogspot.com/2007/11/antibufala-cane-lasciato-morire-per.html

 

Più precisamente si tratta di un rimando al blog di un capace giornalista italiano, Paolo Attivissimo, il quale da anni fornisce gratuitamente un servizio detto “antibufala” atto ad analizzare ed eventualmente smascherare la falsità di notizie dubbie che girano per la rete.

La presenza del link al blog, nel quale viene discussa approfonditamente l’eventuale fondatezza dell’accaduto, sembra essere stata ignorata dai membri del gruppo di facebook, che continua a manifestare il proprio odio per l’artista costaricano nonostante diverse testimonianze abbiano mostrato che la notizia avesse più di un’incongruenza per non sembrare una montatura e che vi fosse ben poco di fondato: inoltre, cercando su internet non si trova la fonte originaria.

La rabbia, l’indignazione e la frustrazione che determinate tipologie di accadimenti generano, evidentemente hanno la meglio sulla fredda razionalità. Forse l’orrido e il sensazionale ci attira tanto da farci credere a qualsiasi cosa, il che è già di suo, drammatico.

I fatti certi ed incontrovertibili, analizzati dal sopracitato cacciatore di bufale Paolo Attivissimo sono i seguenti:

C’è stata effettivamente una mostra in cui Habacuc Vargas ha “esposto” un cane randagio, come si può vedere nelle foto che sono circolate. L’obiettivo di Vargas, come dichiarato anche dall’artista in persona, era quello di dimostrare l’ipocrisia delle persone: la gente avrebbe avuto pietà e buoni sentimenti nei confronti del cane alla mostra, ma avrebbe dimostrato disprezzo, indifferenza o paura se lo avesse incontrato per strada.

Non c’è traccia riguardo chi, come e quando sia stata pubblicata per la prima volta la notizia che sosteneva che il cane fosse stato lasciato morire di fame durante la mostra. L’unica fonte, il giornale costaricano La Prensa, dice l’esatto contrario. Secondo il direttore del museo, il cane, (un randagio preso per strada) per quanto malconcio, sarebbe stato curato e rifocillato. Poi sarebbe stato messo al guinzaglio per la mostra, come si vede nelle foto, e successivamente sarebbe scappato.

Quello che appare strano nell’osservare le immagini è il completo distacco delle persone intente a mangiare e bere un aperitivo con il cane a poca distanza. Improbabile che nessuno reagisse alla vista di un cane in procinto di morire di fame. Lo stesso cane, se avesse avuto fame, avrebbe quantomeno abbaiato cercando di attirare l’attenzione. Vedendo persone mangiare, e sempre ritenendo valida l’ipotesi della morte imminente avrebbe quantomeno cercato di liberarsi del piccolo guinzaglio di corda al quale era stato legato, e non sarebbe stato accucciato in tutta tranquillità. Infine, anche dando per vero che l’artista fosse “insensibile”, sembra fortemente improbabile che tra tutti i visitatori non ci sia stata una sola persona che abbia protestato o contattato le forze dell’ordine a causa di un cane che stava per morire di fame.

Inoltre, nel sito della galleria dove sarebbe avvenuto il fatto, troviamo un link1 contenente la spiegazione dell’accaduto: “il cane veniva tenuto legato solo durante l’apertura al pubblico della mostra (tre ore al giorno), il resto del tempo se ne stava nel cortile della galleria e veniva nutrito dall’artista stesso. il cane non è morto, ma è scappato.”

L’unico dato certo è che Vargas, un perfetto sconosciuto fino alla mostra del 2007, si sia fatto una pubblicità a livello planetario come difficilmente capita. Fino a prova contraria, il resto sono solo ipotesi e congetture.

L’ottusità del web all’italiana è dimostrata in primis dal fatto che il gruppo facebook nostrano sia il più numeroso, ma anche dal fatto che nella petizione che girava via mail il nome della galleria era sbagliato:

“Galeríam Códice” invece di “Galería Códice”.  Dato presumibilmente da un meccanico copia-incolla senza verificare l’attendibilità della notizia.

La ricerca di “Galeríam Códice” su google[2] produce 1.040 risultati in italiano, 8 in lingua inglese, 2 in spagnolo. Le conclusioni in merito vengono da sole.

Con questo esempio, uno tra i tanti di cui si può trovare traccia sul web ed all’interno dei social networks, si vuole dare rilievo ad una problematica connessa alla possibilità che ognuno di noi ha nel fare informazione e disinformazione in rete. La costruzione di notizie false su basi più o meno reali non è una novità né tantomeno è un’esclusiva del web, ma il fatto che chiunque, nel completo anonimato possa diffondere con tale profitto notizie false è un dato che merita un’attenta riflessione.

[1] http://www.galeriacodice.com/index.php?id=30

[2] Informazioni ottenute utilizzando www.google.com ed il filtro avanzato per lingua, in data 13 dicembre 2009

I porcospini di Schopenhauer.

“Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; così, la finirono ad essere costantemente sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.”
A. Schopenhauer 

Ci sono persone che non riusciamo a tenere tanto vicino, (un po’ per paura di essere feriti, un po’ per paura di ferire). Quelle persone alle quali istintivamente ci avviciniamo come alle fiamme che fin da bambini ci affascinano, illuminano, ci scaldano; hanno il potere di bruciarci e di congelarci se maneggiate con poca cura. Sembrano i frutti di un videogioco fantasy, governato da alchimie e dalle forze magiche scatenate dagli elementi. È una questione di dettagli, di equilibri tra istinto, ragione, cuore.

Ma siamo umani, e la vita non scorre solo dentro di noi: andare alle terme il 15 di agosto, per quanto possa avere dei risvolti positivi è comunque una coglionata. Il tempo e il luogo sono parte integrante del meccanismo.

Le candele – Costantinos Kavafis (è una poesia)

..dopo accesa discussione, si è giunti a questo equilibrato compromesso. Non la ripubblicherò su facebook, ma la lascerò qui.
Le candele – Costantinos Kavafis

Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese,
dorate, calde e vivide.

Restano indietro i giorni del passato,
penosa riga di candele spente:
le più vicine danno fumo ancora,
fredde, disfatte, e storte.

Non le voglio vedere: m’accora il loro aspetto,
la memoria m’accora del loro antico lume.
E guardo avanti le candele accese.

Non mi voglio voltare, ch’io non scorga, in un brivido,
come s’allunga presto la tenebrosa riga,
come crescono presto le mie candele spente.

Un video che ci sta bene, anche perchè è mio.

 

PETARDI PETARDI PETARDI.

Sarà l’inverno, sarà che la passione per gli oggetti incandescenti & detonanti non è mai passata, fatto sta che mi ritrovo a ricordare con malinconia e gioia quello che posso chiamare -con una lagrima di nostalgia che mi riga il volto- “il tempo dei petardi”. Che cazzo di figata (mi si scusino le parolacce ma l’infogo, nei giovani cagliaritani d’oggi prende in questa maniera. Si proferiscono parole scurrili non per maleducazione ma unicamente per mostrare passione) CAZZO, CULOFIGATETTE, che grandissima gioia era avere la tua scatola di Fiesta! O di Raudi, o i Minerva, o se proprio eri un temerario, (e se a casa te li lasciavano comprare) i MEGA.

La scatola di petardi era un tesoro, un forziere di piccolissimi lingotti esplosivi con cui potevi fare tanti divertentissimi giochi vandali: metterli sotto terra per simulare le mine antiuomo, inserirli all’interno di lattine, bottiglie, muretti di mattoni per poi vederli saltare in aria in maniera sempre diversa, sempre fantastica, sempre gustosamente rumorosa. I petardi si lanciavano all’uscita di scuola; per noi della scuola media Spano, noi che avevamo “il rientro” serale, quel rumore, quel lampo nella notte che innescava gli antifurto delle macchine aveva il profumo di una libertà tutta nuova. Basta! Ho deciso: questo carnevale andrò a comprarmi una scatolona di MINERVA, TRE STELLE ***(i più potenti, anche se leggenda narrava ci fossero anche i 4 stelle), e recuperate numerose macchinine dalla cantina ne farò esplodere il più possibile. Ovviamente non sarò solo, questo revival è condiviso da molti adepti. E so già che sarà un successo.

Questo flusso di incoscienza deve finire.

“E non sono infantile. Mi lascio solo trasportare.”

Cose nerd ma anche un po’ emo.

Oggi su feisbuk ho visto una maglietta con un ambigramma. Love Hate. Così ho deciso di farlo anche io. Un ambigramma è una parola scritta in modo che anche al contrario abbia un significato. In particolare, questa, se la guardi allo specchio ribalta il concetto iniziale.

Maggiore flessibilità sul lavoro.

Si, ok, bellissime teorie. Maggiore facilità di assunzione, mercato del lavoro dinamico, più gioia e felicità per tutti. Ma, cari miei, non vi è venuto da pensare che siamo in Italia, e che nel dna italico c’è un unico dominante incontrollabile pensiero?

No. Non sto parlando di fare cose più o meno sdraiati. Sto parlando dell’istintivo desiderio di trovare la via più furba. La parola flessibilità, l’abbiamo visto dalla legge Biagi in poi com’è stata interpretata. Noi figli degli anni 80 siamo flessibilissimi anche senza fare stretching. Ora ditemi: “maggiore flessibilità” cosa può voler significare?