Facebook ha un difetto. Le cose che ti interessano passano in un battibaleno e non puoi rileggerle; si nascondono subito nella timeline. Per questo ho deciso di aprire un blog. E per questo oggi ripubblico un post interessante.
Non è vero.
Lo sto pubblicando unicamente per farvi vedere che ho amiche fighissime e attentissime che scrivono cose intelligentissime e si ricordano tutto dopo aver visto un film una volta sola. Pure i nomi dei personaggi.
L’oggetto di questo post comunque è “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino.
P.s. non ci sono spoiler. Cioè qualcuno c’è ma è irrilevante: insomma leggetelo sia che siate già andati a vedere il film, sia che dobbiate ancora andare.
Se non ve ne frega una beneamata ceppa potete anche non leggerlo, ma siete brutti.
LA GRANDE BELLEZZA
Di Chiara D.
1) Gli attori. Verdone è già stato così drammatico, ma in film che lo erano meno, vedi “Compagni di scuola”, per esempio. In tutti gli altri film fa il Verdone che ci si aspetta, per ridere. Sorrentino ti fa venire il dubbio che Verdone sia – stia – davvero così. Fallimento e frustrazione: perfetto, vero, verissimo.
2) I richiami a Fellini erano l’unica cosa che conoscevo del film prima di vederlo. Se ci sono, e non lo so, sono nei riferimenti circensi. Io ho pensato ad altro, a qualcosa che abbiamo visto più volte di recente: la scena del vitello d’oro ne “I dieci comandamenti”. Ovvero il proliferare di miti effimeri… chissà.
3) La storia, così, poteva essere solo opera di Sorrentino. Una masturbazione, ha ragione Enrico. Una storia, nel senso di contenuto, sacrificata alla grande bellezza di tutto il resto, aggiungo io. E mi piace, ché a me del contenuto, dell’esempio di vita da citare, del messaggio… non è mai fregato niente.
4) Il monologo-massacro era ben scritto, ma non ci voleva nulla a ben scrivere una roba del genere. Ha vinto facile. Per me trascurabile didascalia a un film che si spiegava da solo.
5) Roma. Non mi è mai piaciuta Roma, non mi piace neanche qui. Non sono neppure certa piaccia a Sorrentino, ce la racconta per cartoline e luoghi comuni. La Roma di Sorrentino è un luogo comune: la Ferilli ha il papa polacco tatuato sul braccio, infatti.
6) Talento visivo. Indiscutibile. E vediamo, tra le mie cose preferite, il turista giapponese che fotografa la bellezza e poi muore. Perché davanti alla Grande Bellezza, quella con le lettere maiuscole, quella vera, si può solo sentirsi mancare, davanti a quella si è piccolissimi anche senza troppo scomodare il Romanticismo. Pure qui la didascalia: il monumento a Garibaldi col famoso motto “O Roma o morte” che, a questo punto, forse, va letta in senso meno patriottico.
7) L’invenzione del personaggio della contessa decaduta, cui non resta che farsi raccontare la propria storia dagli oggetti che le sono appartenuti.
8 ) Le scelte visive di Sorrentino. Avevo pensato meravigliosamente simmetrico, poi fastidiosamente simmetrico. Comunque simmetrico. il 90% delle riprese erano frontali, a fuoco unico centrale definito, ogni volta, da un oggetto, da una persona, persino dal sole, a fare asse di simmetria. La vita non è simmetrica, simmetriche son state le quinte teatrali, il teatro è finzione e Sorrentino non lo nega ed è ancora didascalico quando chiarisce tutto con le scene al Tempietto del Bramante, tripudio di simmetria. La vita non è simmetrica, dicevo, e qualche volta Servillo vive la vita vera e le riprese non sono più simmetriche… al 10% ci sono il racconto e la vita vera, non è che mi servissero, ma non erano ingombranti.
9) Il rumore. A sottolineare i bagordi erano urletti isterici, rumore fine a se stesso che chiariva la qualità di quei festini. Un film, poi, tutto parlato, parlatissimo quando si recitava davanti a quinte simmetriche… erano così silenziosi gli altri film di Sorrentino che ti dicevi, davanti alla loro bellezza, “Perché non parli!” e ora parlano, e lo sanno fare.
10) Non volevo morali, io non le voglio mai dai film. Non ce ne sono state, e pure quel “… una vita devastata. Come tutti noi” che Servillo dice alla Ranzi non mi ha pesato e l’ho persino amato.
11) Torna Cenerentola. Ce n’era già una ne “Le conseguenze dell’amore”, una pure in “This must be the place”, qui ce n’è una macabra. La Ferilli che sfila in abiti da lutto. Questo è svecchiare un topos cui si tiene. Plauso.
Sono uno che si dimentica tutto.
uno che si è dimenticato cosa significa andare dal parrucchiere.
Sono uno che ride da solo.
Sono uno che non piange da solo.
Sono uno che odia le cose preconfezionate.
Sono uno a cui piace smontare le cose.
Sono uno a cui piace anche rimontarle, le cose.
Sono uno a cui non piacciono i dolci, ma la panna montata sì.
Sono un montato, come la panna, ma ho superato i 33 anni, quindi sono rancido.
Sono uno che non si entusiasma mai, oppure che si entusiasma troppo.
Sono uno a cui piace conoscere la gente rotta.
Sono uno che si rompe in fretta della gente che non ha dubbi.
Sono uno a cui piace il silenzio senza gli imbarazzi del silenzio.
Sono uno a cui piace ascoltare il fondo del mare.
Sono uno a cui piace guardare il fondo del bicchiere.
Sono uno a cui piace toccare il fondo.
Risalire, anche risalire mi piace, ma per arrivare alla cima ci sono molte strade, e io sono ancora fermo all’incrocio.